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giovedì 10 novembre 2011

L'EREDITA' DI BERLUSCONI - Commento all'articolo di Antonio Martino pubblicato sul TEMPO (di Claudio Ferretti)

Ho letto la sua analisi e la trovo difficilmente condivisibile, tanto che mi viene in sospetto di non averla capita.
a)      Se l’eredità che lascia Berlusconi è quella di dimostrare che l’Italia è di destra la cosa mi lascia abbastanza indifferente perché non capisco in cosa differisce questa destra da questa sinistra. Lei stesso ha detto sui temi fiscali, quelli centrali nella gestione dello Stato, la linea di questo governo non è dissimile da quella dei governi che l’hanno preceduto (più tasse, più spesa).
b)      Sulla rivoluzione liberale, dalle bellissime intenzioni del 1994 quando Berlusconi dichiarava di ispirarsi a Einaudi e Sturzo, nel ‘96  la stella polare divenne De Gasperi e via via sempre più verso posizioni filo stataliste e clericali.
c)      Tra i compagni di strada che il Cav. Berlusconi ha selezionato nel corso del suo percorso politico i liberali si sono lentamente ridotti, tanto più che è legittimo sospettare che le idee contassero ben poco, quello che importavano e importano sono i voti, quale che sia la provenienza, per acquisire il potere.
d)      Si poteva sperare che arrivato al potere tramite legittime elezioni, vista la grande capacità economica, mediatica e di aggregazione delle forze più eterogenee, il Cav. Berlusconi volesse portare l’Italia verso modelli vicini ai paesi più liberali e a primeggiare in Europa e nel mondo. Abbiamo invece visto la vicinanza a Gheddafi e Putin, è vero, anche a Blair e Bush ma solo per la guerra in Irak (più tasse e più spesa pubblica).
e)      Quando qualche proposta concreta poteva essere fatta propria provando ad investire sulla maturità dei cittadini italiani come per i referendum Radicali-Dornbush, la posizione di Berlusconi è stata secca e sprezzante, uguale a quella della CGIL.
f)        Lei sostiene che le sinistre sono un aggregato eterogeneo di posizioni incompatibili: è vero. Ma cosa accumuna Lei a Giovanardi. Cosa accomuna gli ex socialisti agli gli ex missini del PDL e tutti questi alla Lega Nord? Mi sembra che le precedenti esperienze governative di Berlusconi si siano risolte con gravi lotte di potere tra fazioni eterogenee: nel primo caso in un ribaltone della Lega, nel secondo con difficile convivenza con l’UDC di Casini, il terzo con il “tradimento” di Fini e l’arruolamento a suon di sottosegretari del “Di Pietrista” Scilipoti.
g)      Alla faccia della rivoluzione liberale, nel paese che ci lascia in eredità l’esperienza Berlusconiana, ammesso che sia finita, la spesa pubblica cresce, la corruzione sembra sempre più spinta e anche legalizzata in alcune sue forme, i privilegi crescono e i soliti noti pagano. E pagano sempre di più.
h)      In sintesi Berlusconi, se anche ha rappresentato una novità nella forma di fare politica, rappresenta nella sostanza la continuità, in tutti i suoi aspetti negativi, del sistema che l’ha preceduto e che, viste le premesse, con tutta probabilità gli succederà.
i)        C’è un’importante novità, si dice che la ricchezza già importante della famiglia Berlusconi dal ‘94 ad oggi sia sensibilmente aumentata mentre nelle classifiche su libertà economiche, libertà di informazione ecc.ecc. il paese sprofonda sempre più in basso. Sicuramente non c’è un nesso tra questi eventi ma la domanda che mi pongo è la seguente: Cosa ha messo in campo di suo Berlusconi per cambiare in meglio il paese e quanto gli è costato (a parte un divorzio ma per tutt’altre faccende)?
j)        Purtroppo mi sembra che quello che ci lascia in eredità ce l’avevamo già e da diversi secoli: il “particulare” di Guicciardini; la doppia morale praticata dalla Chiesa, e tutte quelle idee perniciose che hanno impedito all’Italia di essere come il New England. Forse, e questa è la cosa peggiore a mio avviso, ha messo definitivamente una pietra sopra alla possibilità di fare in Italia non tanto una rivoluzione liberale, figuriamoci, ma almeno una riforma liberale.

Con immutata stima.

martedì 20 settembre 2011

ATTIVARE LA CITTADINANZA II (di Claudio Ferretti)

Lettera aperta al Direttore del Corriere Adriatico

Caro Direttore,
Un articolo apparso sul Corriere Adriatico di questa settimana ha permesso ai cittadini di Ancona di conoscere una importante iniziativa portata avanti dai genitori dei bambini che frequentano la scuola elementare di Pietralacroce.
Questi genitori, preso atto dello stato di degrado della scuola che i loro figli frequentano quotidianamente e della difficoltà dell’amministrazione pubblica di garantire una adeguata manutenzione dei locali, considerando l’importanza della scuola come ambiente per la formazione dei loro figli, hanno deciso di farsi parte diligente. Hanno costituito un comitato, hanno raccolto fondi tra di loro con piccole quote (due terzi dei genitori hanno aderito), hanno ottenuto un piccolo contributo dall’amministrazione pubblica ma soprattutto le necessarie autorizzazioni, hanno raccolto contributi da sponsor privati ma soprattutto hanno donato il proprio tempo ed abilità per rendere una struttura pubblica più bella e funzionale.
In un periodo di crisi come quello attuale, che prima di essere una crisi economica è una crisi da mancanza di senso civico e di legalità che investe non solo il mondo politico ma la gran parte del paese compresa quella che alcuni chiamano la “società civile”, trovo che l’esempio dei genitori di Pietralacroce sia, nella sua semplicità, luce e speranza di rinascita culturale, politica ed economica della nostra città che potrebbe diventare esempio per l’Italia.
In 150 anni dall’unità d’Italia dobbiamo ancora risolvere un grave problema, quello che Banfield ha chiamato “Familismo amorale” che è una delle cause che impediscono al nostro paese di fare un salto di qualità.
Banfield, studioso dell’Università di Harvard, individuò tra le caratteristiche salienti del sottosviluppo proprio la mancanza di senso civico, quindi la scarsa attenzione dei cittadini alla qualità dei luoghi pubblici considerati come esterni ai propri interessi “familiari” e, semmai, da sfruttare a spese degli altri. Questo comportamento, facilmente imitabile, porta a una qualità della vita pubblica e sociale sempre più bassa, quindi a costi sempre più elevati, diventando una delle cause principali del sottosviluppo economico.
Ernesto Rossi, un grande italiano del secolo scorso, poco ascoltato e ormai dimenticato, raccontava la storia di una squadra di facchini dell’Ansaldo all’inizio del ‘900 i quali, mancando allora mezzi meccanici, portavano a spalla delle traversine di acciaio da un’area all’altra della fabbrica. L’ultimo della fila, pensando di essere più furbo degli altri, abbassava la spalla per fare in modo che gli altri portassero il suo fardello, ma così faceva anche quello davanti e quello davanti ancora, così che l’ultimo ritornava ad abbassare ulteriormente la spalla per non portare il peso e così ancora gli altri. Alla fine, a forza di abbassarsi, pensando tutti di essere furbi, stavano quasi in ginocchio faticando il triplo e andando più lenti. Questa storia potrebbe facilmente essere applicata all’Italia di oggi, senza grandi consolazioni, purtroppo.
Per cambiare la realtà che ci circonda bisogna cambiare noi stessi e non aspettare che altri, lo Stato, il Comune o, perché no, il Superenalotto risolvano i nostri problemi, i genitori di Pietralacroce con il loro esempio e con il sorriso sulle labbra, hanno dimostrato che è possibile e che si possono ottenere dei risultati straordinari.
Ma perché non andare avanti e fare in modo che da questo esempio si parta per creare un sistema virtuoso? Credo che si possa partire da cose molto semplici: costituiamo dei comitati di quartiere fondati su base volontaria, che abbiano l’onere e l’onore di mantenere e vigilare sui beni pubblici di loro competenza. Questi comitati potrebbero utilizzare manodopera volontaria, raccogliere fondi tra i cittadini, istituire dei premi di benemerenza per quelli particolarmente virtuosi.
Il Corriere Adriatico potrebbe svolgere un ruolo importante, istituendo un premio al comitato che ha lavorato meglio nell’anno e rendendo pubbliche tutte le iniziative dei comitati durante l’anno. Il Comune potrebbe prevedere degli incentivi fiscali per chi partecipa fattivamente a queste gestioni. L’amministrazione Comunale inizi a riflettere su queste cose. Inizino i nostri rappresentati a chiedere con umiltà la collaborazione dei propri cittadini e a premiare i meritevoli. Attiviamo la cittadinanza e iniziamo a pensare che Ancona può diventare un modello per l’Italia.

giovedì 16 dicembre 2010

Intervista a Piero Ostellino del 16.12.10


INTERVISTA A PIERO OSTELLINO

«Berlusconi vada in parlamento e spieghi perché dal 1994 a oggi non è riuscito a fare le riforme che aveva promesso, così come non ci sono riusciti i vari governi di centrosinistra. La crisi è molto più profonda di quanto possa apparire, le corporazioni bloccano il Paese e per affrontarla occorre trasformare radicalmente le istituzioni italiane». Ad affermarlo è Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, intervistato da IlSussidiario.net. Per il commentatore «l’Italia è in una situazione disastrosa e l’unica istituzione a dimostrarsi ancora dinamica è la Chiesa. Al contrario, gli scontri di piazza a Roma rivelano che la società italiana è ferma all’epoca fascista: o lo Stato ci garantisce il posto fisso, oppure spacchiamo tutto».


Ostellino, che cosa dovrebbe fare Berlusconi dopo il voto di fiducia di martedì?

Andare in parlamento e spiegare perché non è riuscito a realizzare prima le cose che aveva promesso: ridurre la spesa pubblica e la tassazione, riformare la giustizia, realizzare la rivoluzione liberale insomma.


Quindi la responsabilità di quanto è avvenuto sarebbe di Berlusconi?

Non sto dicendo questo. Nel 1994 lui è arrivato e ha promesso la rivoluzione liberale. Poi è tornato al governo altre due volte, e ogni volta ha riformulato lo stesso impegno. E allora perché non lo mantiene? Ma non è solo un problema del centrodestra. Chiunque sia al governo in Italia non riesce a governare, si tratta quindi di cambiare le istituzioni. Evidentemente se nessuno si pone il problema è perché questa situazione va bene a tutti. E questo vale per il centrosinistra come per Berlusconi, vale per chiunque vada al governo.


La soluzione potrebbe essere un allargamento della maggioranza?

Ammettiamo pure che Berlusconi allarghi la maggioranza all’Udc e recuperi una serie di parlamentari del Fli. Si ricostituisce il centrodestra originario, che finora non è riuscito a fare le riforme. E non si capisce perché dovrebbe riuscirci adesso.


Quali sono i nodi irrisolti della politica italiana?

Gli stessi di tutta l’Europa, Germania esclusa. E’ in crisi lo Stato moderno, lo Stato sociale non regge più. Ci dà troppo rispetto a quello che potrebbe permettersi e ci prende troppo rispetto a quello che gli spetta.


Secondo lei chi ha impedito a Berlusconi di fare le riforme? E’ stato Fini?

Il problema è più profondo. Il Paese è diviso. E chi lo governa non sono le istituzioni, ma le corporazioni che hanno i loro rappresentanti nell’esecutivo e nel parlamento. Andrebbe quindi cambiata la struttura del Paese. Se gli ordini professionali impediscono o rallentano l’accesso al lavoro dei giovani, la soluzione sarebbe molto semplice: si abolisce il valore legale del titolo e a quel punto anche gli ordini professionali non hanno più ragione d’essere. Questa era una riforma semplicissima, perché non è stata fatta?


Forse perché gli ordini professionali hanno impedito che la si facesse…

E allora, centrodestra e centrosinistra, che cosa ci vanno a fare al governo se poi non governano? Se gli esecutivi non hanno questa capacità di direzione, e sono guidati da un burattinaio che li manovra a suo piacimento, allora non siamo più una democrazia liberale.


E chi è questo burattinaio?

Oltre agli ordini professionali, c’è la magistratura, che ormai è una corporazione che pensa solo a se stessa. Eppure i vari governi che si sono succeduti non sono stati in grado di fare una riforma. Ma anche i sindacati e Confindustria. In questi giorni Marchionne ha rotto con Confindustria, affermando che d’ora in poi la Fiat i contratti se li farà da sé. Trovo che abbia pienamente ragione. Se i contratti fossero diversi tra Como e Lecce, dove il costo della vita è molto differente, gli imprenditori delocalizzerebbero in Puglia, e non in Slovenia.


E il burattinaio che manda i black bloc in piazza, chi è?

Chi ci sia dietro non lo so. Quello che ho visto martedì erano dei giovanotti che con le mazze cercavano di distruggere dei bancomat. O questi sono dei delinquenti, e come tali vanno messi in galera, o sono dei cretini e dei menomati psichici. Sono le uniche definizioni per chi crede di andare a fare la rivoluzione distruggendo tutto, e sarebbe ora che qualcuno finalmente lo dicesse. E tutto questo nasce da un grande equivoco.


Quale?

L’equivoco tra liberalismo e pluralismo. Chi governa non è più in grado di fare nulla, se non concordandolo con ogni singolo gruppo o corporazione che viene toccata da quello che il governo fa. Chi era in piazza martedì era contro la legge, e non soltanto perché spaccava tutto, ma per una ragione più profonda. La maggioranza parlamentare ha il diritto di fare delle scelte, come la riforma dell’università, negarlo è opporsi alla nostra Costituzione.


Chi le ricordavano i manifestanti violenti?

Dei giovani fascisti, che pretendono che lo Stato assicuri loro il posto fisso. Mi dispiace, il compito dello Stato non è questo. E la risposta non può essere quindi quella di prendere i bancomat a martellate. Quanto avvenuto martedì dimostra che questo è un Paese fascista e che è rimasto fascista. E questo condannerà l’Italia a diventare il Paraguay d’Europa: un piccolo Paese che non conta niente. E’ dal 1500 che ci stiamo avviando su questa china, era molto meglio quando c’erano i Comuni e le Signorie.


Quale può essere la situazione?

Una forma di governo simile alla quinta Repubblica introdotta in Francia da Charles De Gaulle.


In questo quadro desolante per le istituzioni italiane, come valuta il ruolo della Chiesa?

La Chiesa, pur essendo per ragioni storiche obiettive uno dei poteri più tradizionali, è l’istituzione che ha dimostrato il maggiore dinamismo. Sia quello di Giovanni Paolo II, sia quello di Benedetto XVI sono stati dei pontificati molto dinamici. Basti vedere come è stata ripensata la questione del rapporto tra fede e ragione, a partire dall’apporto di alcuni filosofi come Tommaso d’Aquino. O al modo coraggiosissimo con cui Ratzinger ha posto il problema dei pedofili nella Chiesa. Con un’energia che purtroppo né lo Stato né la politica hanno avuto.

POST inserito da Riccardo Rinaldi

venerdì 12 novembre 2010

IL MONDO DI MARIO PANNUNZIO - ANCONA 23 NOVEMBRE ORE 17,30 AULA DEL RETTORATO - PIAZZA ROMA 22

Il Centro Studi Liberali Benedetto Croce di Ancona, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ancona, onorerà la figura  dell’insigne giornalista liberale, Mario Pannunzio, fondatore e direttore del famoso settimanale politico Il Mondo con la presentazione del libro di Pier Franco Quaglieni, dal titolo “Mario Pannunzio: da Longanesi al Mondo”. che verrà presentato a Ancona martedì 23 novembre, alle ore 17,30, presso la sede del Rettorato dell’Università di Ancona in Piazza Roma n. 22.
Pier Franco Quaglieni è autore di molti saggi storici. Insieme ad Arrigo Olivetti e Mario Soldati è stato fondatore del Centro Pannunzio di Torino, di cui è attualmente direttore.
Nato a Lucca nel 1910 ed emigrato a Roma durante l’adolescenza, Mario Pannunzio dopo l'armistizio del '43, partecipò alla resistenza e insieme ad altri amici fondò il Partito Liberale. Nel ‘49 fondò Il Mondo, che s'impose come uno dei giornali più nuovi nel panorama italiano. Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale, inizialmente denominato Partito Radicale dei Democratici e dei Liberali Italiani, insieme a Alberto Mondadori, Arrigo Olivetti, Marco Pannella, Eugenio Scalfari e Paolo Ungari
Il grande prestigio del “Mondo” spiega il numero e la qualità di collaboratori italiani e stranieri. Un giornale che ha fatto storia, che ha caratterizzato il dibattito politico e culturale con un grande senso della laicità, dando spazio ad opinioni politiche diverse, in un momento, il dopoguerra, che era caratterizzato da difficoltà di dialogo.
Il Mondo" è stato un settimanale di politica e cultura pubblicato a Roma negli anni 1949-66. Fondatore e direttore ne fu Mario Pannunzio che gli conferì una costante linea di impegno civile e di totale indipendenza rispetto al potere politico ed economico. Redattore capo fu Ennio Flaiano.
"Il Mondo" nacque dall'incontro della cultura crociana con quella salveminiana ed einaudiana ed ebbe tra i suoi collaboratori più importanti Ernesto Rossi, Carlo Antoni, Vittorio De Caprariis, Nicolò Carandini, Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa, Arturo Carlo Jemolo, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Vittorio Gorresio.
L'obiettivo che il giornale cercò di realizzare fu quello di una terza forza liberale, democratica e laica, capace di inserirsi come alternativa ai due grandi blocchi, nati in Italia dalle elezioni del 1948, quello marxista e quello democristiano. L'impegno anticomunista de "Il Mondo" fu esemplare perché condotto in nome della libertà e non della difesa di privilegi economici precostituiti.
A partire dal 1955 Pannunzio organizzò i "Convegni del Mondo" come risposta laica all'arretratezza settaria dei marxisti e alla crisi del centrismo in Italia. Essi affrontarono temi come la lotta ai monopoli, i problemi della scuola, dell'energia elettrica e del nucleare, dei rapporti tra Stato e Chiesa, dell'economia e della borsa, dell'unificazione europea.
"Il Mondo" ebbe notevole importanza soprattutto sul piano culturale, in quanto fu la prima grande rivista di cultura stampata in rotocalco, rivolta quindi ad un pubblico notevolmente più ampio di quello tradizionale. Oltre a Croce, Salvemini ed Einaudi, collaborarono a "Il Mondo" scrittori come Mann ed Orwell, Moravia e Brancati, Soldati e Flaiano, Tobino e Comisso.
Sul versante non marxista e laico della cultura italiana "Il Mondo" rappresentò l'unica voce importante estranea agli schematismi politici e culturali allora predominanti. Il suo antifascismo fu sempre vivo e costante, la sua laicità mai astiosa, il suo fermo anticomunismo mai preconcetto. Fu accusato di essere élitario, espressione di un'aristocrazia intellettuale refrattaria alle grandi masse. E' tuttavia certo che "Il Mondo" esercitò un'influenza di gran lunga superiore alla sua tiratura.
Edito inizialmente da Gianni Mazzocchi, ebbe negli ultimi dieci anni di vita come editori l'industriale Arrigo Olivetti e l'ambasciatore Nicolò Carandini che parteciparono direttamente alla vicenda politica del giornale. Pannunzio non fu solo il direttore, ma il vero ispiratore del settimanale che curava con attenzione artigianale in tutti i suoi aspetti: leggeva ogni articolo, faceva i titoli e le didascalie, sceglieva le fotografie, impaginava personalmente. Soprattutto suggeriva i temi da trattare ai molti collaboratori, in quanto egli non firmò mai nessun articolo anticipando il ruolo del moderno direttore di giornale. Sotto il profilo grafico il giornale si presentava con una eleganza tutta longanesiana, ma c'erano anche un rigore ed uno stile che superavano il giornalismo di Longanesi, di cui pure Pannunzio aveva subito il fascino.

venerdì 27 agosto 2010

ATTIVARE I CITTADINI - Lettera al Direttore del Corriere Adriatico

Caro Direttore,


ho letto un interessante servizio apparso sul Corriere Adriatico di Lunedì nella Cronaca di Ancona che documentava quello stato di trascuratezza che da tempo appare evidente a quei cittadini che frequentano i parchi anconetani. Da qui prendo spunto per diverse considerazioni:

- Con l’apertura del Parco del Cardeto che si aggiunge al parco di Posatora, al recupero del parco della Cittadella e diverse altre aree verdi amministrate dal Comune di Ancona, la quantità di spazi da gestire è sicuramente aumentata di molto

- curare un parco è cosa che richiede un’attenzione quasi quotidiana ed è attività costosa.

- L’amministrazione comunale non dispone delle risorse sufficienti per gestire questi parchi garantendo uno standard qualitativo di eccellenza (non mi interessa in questa sede sapere se le risorse finanziare mancano perché gestite male o per oggettiva difficoltà)

- I Cittadini che frequentano i Parchi o semplicemente hanno dei vantaggi dalla loro presenza perché residenti nelle loro prossimità non sono coinvolti in alcun modo nel mantenimento del decoro, anzi, possono essere gli attori del loro decadimento utilizzandoli a volte come pattumiere o come aree di servizio per i bisogni dei loro animali domestici.

Il risultato di questo combinato disposto è che tali aree rischiano di diventare la cartina di tornasole di una città (istituzioni e cittadinanza) incapace di affrontare adeguatamente le sfide che il presente e il futuro ci stanno mettendo di fronte. Una città che, nonostante i nuovi parchi, risulta essere la terza città più inquinata d’Italia e quindi d’Europa.

Uno studioso dell’Università di Harvard, Banfield, ha definito la mancanza di senso civico come il problema di fondo di alcune aree sottosviluppate dell’Italia. Una delle caratteristiche salienti del sottosviluppo è proprio la mancanza di senso civico, quindi la scarsa attenzione dei cittadini alla qualità dei luoghi pubblici considerati come esterni ai propri interessi “familiari” e quindi, semmai, da sfruttare a spese degli altri. Questo comportamento, facilmente imitabile, porta a una qualità della vita pubblica e sociale sempre più bassa, quindi a costi sempre più elevati, diventando una delle cause principali del sottosviluppo economico.

Per cambiare la realtà che ci circonda bisogna cambiare noi stessi e non aspettare che altri, lo Stato, il Comune o, perché no, il Superenalotto risolvano i nostri problemi.

Credo che si possa partire da cose molto semplici: costituiamo dei comitati di quartiere fondati su base volontaria, che abbiano l’onere e l’onore di mantenere e vigilare sui beni pubblici, a partire dai parchi della città di loro competenza. Questi comitati potrebbero utilizzare manodopera volontaria, raccogliere fondi tra i cittadini, istituire dei premi di benemerenza per quelli particolarmente virtuosi. Il Comune potrebbe istituire un premio al comitato che ha lavorato meglio nell’anno e magari prevedere degli incentivi fiscali per chi partecipa fattivamente a queste gestioni. L’amministrazione Comunale e il Sindaco Gramillano riflettano su queste cose, inizino a chiedere con umiltà la collaborazione dei propri cittadini e a premiare i meritevoli. Attiviamo la cittadinanza e iniziamo a pensare che Ancona può diventare un modello per l’Italia.

Cordiali Saluti
Claudio Ferretti

sabato 14 agosto 2010

CROCE, gli AUSTRIACI ed il LIBERALISMO

In un interessante articolo apparso, col medesimo titolo in “MondOperaio”, novembre-dicembre 2003, n. 6, pp. 114-25 il professor Raimondo Cubeddu, analizza la posizione di Bendetto Croce rispetto a quella della Scuola Austriaca. Da questa analisi deriva una critica molto forte delle posizioni di Croce e una conseguenza, la morte del liberalismo in Italia: Scrive Cubeddu: "Ciò detto, se per Croce l'oggetto della scienza economica sono le azioni volontarie, per Menger l'oggetto delle scienze sociali teoriche (comprensive della 'scienza economica esatta') sono le conseguenze inintenzionali che seguono alle azioni umane intenzionali. La tesi 'austriaca' può così può essere d'aiuto per capire come mai, partendo dall'intenzione di provocare la morte del marxismo teorico, in Italia si sia finito, tagliandone le radici, per provocare invece quella del liberalismo."

Quindi le conclusioni del Prof. Cubeddu: ....Così esposta, ovvero con le parole di Menger, mi chiedo se veramente la critica di Croce e la sua interpretazione della nascita della scienza economica possano valere anche per gli 'Austriaci' dato che, nella loro concezione dell'attività economica e delle istituzioni a cui essa dà vita, non vi sono elementi che possono configurarla come una teoria utilitaristica ed edonistica se non nel significato che Croce dava a quei concetti.

Certamente Croce era un filosofo originale, ma resta il dubbio che quel che può valere per la teoria dell'azione e del valore della scuola economica classica, ed anche di Gossen e di Jevons, non possa essere automaticamente esteso alla Scuola Austriaca e alla sua teoria dell'azione umana, dei valori soggettivi e delle istituzioni sociali. Infatti, la 'teoria dei valori soggettivi', non è altro se non una teoria della conoscenza e della scelta in regime di scarsità, che si fonda sulla radicale contestazione della teoria economica classica e del suo
utilitaristico, onnisciente, ed in definitiva famigerato homo oeconomicus che Hayek definisce un prodotto della teoria economica classica estraneo a quella 'austriaca': una «nostra [degli economisti] vergogna di famiglia che abbiamo esorcizzato con la preghiera e il digiuno».
Sempre nella prospettiva 'austriaca', viene perciò da chiedersi se diritto, etica e stato, che sono il risultato 'irriflesso' degli scambi e dei 'naturali' tentativi individuali di assicurarsi una sopravvivenza, possano mai disporre della conoscenza necessaria per correggere il mercato. Ovvero, in termini neo-istituzionalistici, se possa mai funzionare, e con quali 'costi di transazione', un sistema edonistico ed utilitaristico nella sfera del
soddisfacimento dei bisogni, ed 'etico' (ma esattamente cosa vuol dire?) nella sfera dei comportamenti politici. Quali i costi della sovrapposizione, che in questo caso appare forzata, dei due sistemi?

Non mi dilungo oltre, ma spero che possa essere chiaro perché, uno che ha studiato due soluzioni 'integrate' (teoria dell'azione in condizioni di scarsità, soddisfacimento dei bisogni, teoria delle istituzioni e teoria politica) non possa più ritenere soddisfacente e feconda la soluzione crociana la quale presuppone che nel secondo momento (eticopolitico) gli stessi individui abbiano a disposizione una conoscenza maggiore di quella di cui dispongono nel primo (soddisfacimento dei bisogni) quando temporalmente non è possibile distinguere i due momenti.

La mia convinzione, in definitiva, è
1) che la recezione della confusione che Pantaleoni fa in quegli anni tra Jevons e Menger si sia trasmessa a Croce il quale ne deduce il carattere edonistico, utilitaristico, atomistico e quantitativo di tutta la scienza economica;
2) che non è un caso se a rivitalizzare il liberalismo sia stata proprio quella 'Scuola Austriaca' che era già uscita dalle secche nella quale lo avevano condotto da una parte la scuola classica con la sua teoria dell'azione e del valore, e dall'altra parte Croce col suo tentativo di superare tale impasse distinguendo tra liberismo e liberalismo;
3) che oggi il maggior difetto che può essere individuato nel liberalismo di Croce è:
a) di non aver una teoria dell'azione umana e delle istituzioni;
b) di non avere una teoria dei diritti individuali;
c) di fondarsi su una discutibile e discussa interpretazione della nascita della scienza economica e della tradizione individualistica e liberale (si pensi alla questione del diritto naturale), da cui non poteva nascere che una parimenti discutibile teoria del liberalismo;
d) di non contenere, come sostiene Sebastiano Maffettone, una "teoria normativa della politica".



sabato 17 luglio 2010

Intervista al nostro membro d'onore Piero Ostellino del 15.07.10


INT.

Piero Ostellino

giovedì 15 luglio 2010

Nella serata di ieri il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, coinvolto nell’inchiesta sull’eolico, si è dimesso. È mio interesse tutelare il governo, ha detto. Diventa così ancora più aggrovigliato il momento di crisi che attraversano il governo e il partito di maggioranza: entrambi minati dalle indagini e dalle correnti interne, mentre appare in difficoltà la leadership di Berlusconi, che non riesce ad avere ragione di uno scenario sempre più frammentato e quanto mai incerto. Parla Piero Ostellino, editorialista del Corriere.



Prima Scajola, poi Brancher, ieri Cosentino. Le indagini puntano a isolare sempre di più Berlusconi?



Non credo. Sono casi giudiziari specifici che attengono a vicende complesse ma individuali. È evidente che siamo entrati in una fase segnata apparentemente dal declino di Berlusconi e dalla corsa alla successione. Anche se Berlusconi, a mio parere, non ha nulla da temere dai sommovimenti interni al suo partito. In realtà lo scacco del premier è più profondo e sta nell’aver ceduto alle logiche del paese corporativo.



In ogni caso il premier appare in difficoltà e non sembra capace di costruire una sintesi politica. questa crisi è causa o effetto dell’appannamento di leadership di Berlusconi?



Difficile dirlo. In realtà Berlusconi non è mai stato in grado di pervenire ad una sintesi, perché non ne ha la cultura politica. È uno straordinario uomo d’affari che ha governato e governa il paese con la sua leadership carismatica. Sul resto la mia posizione è nota: risultati parziali ci sono stati, ma Berlusconi non ha saputo realizzare la rivoluzione liberale, basata innanzitutto sulla riduzione dell’eccessiva pressione fiscale, che aveva promesso. A questo sostanziale fallimento ha tentato di sopperire con una politica dell’annuncio.



Lei ha scritto di recente che il paese è spaccato tra un’Italia progressista che invoca lo stato di polizia (“intercettateci tutti”) e una moderata che confida nel demiurgo. Se la rivoluzione liberale di Berlusconi è archiviata, cosa c’è al suo posto?



Il paese di sempre: lo stesso paese che nel 1943, all’atto della sfiducia di Mussolini, era in gran parte fascista e che il giorno dopo si ritrovò in gran parte comunista. Un paese che ha cambiato la casacca e il colore della camicia, ma che sotto è rimasto in gran parte quello di prima. Poco importa che si dichiari laico o democratico antifascista: il nostro resta tutto sommato un paese fascista.



E quale sarebbe la caratteristica del nostro fascismo?

Il fatto che gli italiani non credono nelle libertà e nelle conseguenti responsabilità. Noi non siamo cittadini, la nostra massima ambizione è quella di essere governati come sudditi. Basti pensare all’enormità di divieti e alla violazione di diritti individuali che informano la nostra vita pubblica, dall’inversione dell’onere della prova a carico dell’accusato in materia fiscale all’esecutorietà della sanzione amministrativa, e tutto senza che noi battiamo ciglio. La crisi del berlusconismo è una delle tanti disillusioni di questo paese: il demiurgo doveva risolvere i problemi ma non l’ha fatto, e per una ragione molto semplice e cioè che il paese, in fondo, nemmeno voleva che fossero risolti. Berlusconi stesso si è prontamente adeguato al paese: lo rispecchia, ed è questa la ragione del suo successo.



Esiste però una stampa ferocemente antiberlusconiana.



Ma questa stampa alimenta un’antipolitica paradossalmente funzionale alla perpetuazione di questo fascismo. Si potrebbe ritenere che tenga vivo l’«antifascismo», ma non si ricorderà mai abbastanza che l’antifascismo ideologico è determinato interamente dalla sua opposizione al fascismo.



E la sinistra?



L’unica cosa che la tiene in piedi è l’antiberlusconismo: il gridare al tiranno e all’attentato contro la libertà di informazione. La sinistra non ha identità, non ha idee, non sa nemmeno lei stessa cosa vorrebbe. In realtà essa non c’è più: è scomparsa. I giornali non inducono a riflettere su questo stato di cose. Sono pro o contro Berlusconi, ma chi parla delle decisioni illiberali che mortificano il cittadino? Chi ha parlato a fondo delle ultime leggi approvate dal parlamento in materia fiscale?



A proposito del caos attuale lei ha scritto di una «sindrome di Weimar» e dei suoi potenziali rischi. Quali sono?



Di fronte ad una politica che non riesce più ad avere un ruolo di direzione, di fronte al fatto che sono le corporazioni che governano il paese, e che la stessa funzione pubblica è diventata una corporazione, come si vede dal conflitto tra il potere centrale e le regioni, sale nell’opinione pubblica il desiderio di una tecnocrazia che decida sulla base di una visione scientifica, e perciò astratta, della società. Il primo atto di una tecnocrazia è fare a meno della sovranità popolare.



Non potrebbero essere i tecnocrati a risolvere finalmente i problemi del paese?

No, perché la tecnocrazia attuerebbe l’ennesimo tentativo di applicare alla realtà sociale una formula razionalistica, mentre la risoluzione dei problemi può scaturire solo dalla libertà. Se non si ha fede nella capacità degli uomini di decidere individualmente e soggettivamente, ciascuno secondo i propri interessi, le proprie preferenze, la propria concretezza, il proprio stile di vita e la propria esigenza di felicità, resta solo il razionalismo e quindi l’oppressione. Ci devono essere meno regole possibili: solo quelle che ci impediscono, nel perseguire il nostro ideale di felicità, di arrecare un danno agli altri.



Ha ragione o no Berlusconi nello stigmatizzare un’offensiva «giacobina e giustizialista»?



Che ci sia una parte minoritaria, sottolineo minoritaria, della magistratura che persegue un disegno egemonico animata da una visione provvidenzialistica della giustizia, è un fatto acquisito per chi è libero da preconcetti. Oggi certi magistrati sono alla ricerca del peccato, non del reato. Cosa vuol dire che l’accusato è «reticente nell’accettare i fondamenti dell’accusa»? È un suo diritto rifiutarli, perché mai dovrebbe accettarli? Il magistrato deve condannare i reati sulla base del codice, non sulla base della sua concezione di società. In questo Berlusconi ha ragione, c’è una magistratura giacobina. Ma il dramma è che questo riguarda molto più il cittadino comune che non Berlusconi e i suoi problemi con la giustizia.



Prima lei ha detto che Berlusconi ha ceduto alle logiche corporative. Cosa intende?



In Italia il potere politico, per secoli comunale, infine diventato statuale con l’unità d’Italia, ha sempre svolto un ruolo di mediazione tra le corporazioni. Questa mediazione è storicamente consistita nel distribuire le risorse esistenti ai vari partecipanti, secondo criteri soggettivi. La crisi economica però ha privato il potere di risorse da ridistribuire ed esso è diventato una corporazione in guerra con le altre.



Questo che c’entra con la leadership di Berlusconi?

C’entra per il fatto che la crisi attuale non riguarda solo la politica, il caos dentro il Pdl per intenderci: essa riflette quello che sta accadendo nella società italiana. La sua natura corporativa è esplosa e si ripercuote a livello politico, frammentandolo. Il potere politico è anch’esso alla ricerca di risorse e lo scontro in atto con le regioni può essere letto così: corporazioni locali che si ribellano alla corporazione centrale. Con l’effetto di acuire la conflittualità sociale, ampliandola. Attualmente Berlusconi è debole perché è prigioniero delle corporazioni organizzate, oltre che di se stesso.



In questa guerra corporativa qual è il ruolo della Lega?



La Lega è l’unica forza ad aver capito realmente che il corporativismo è la vera essenza della realtà italiana, e la sua vocazione storica è quella di tradurre il corporativismo localistico in una domanda di «secessione democratica». Il meridionalismo separatista pretendeva che lo stato ripagasse il sud per i danni che esso aveva ricevuto dall’unificazione. Lo stesso sta ora avvenendo al nord, in senso opposto: il corporativismo giustifica l’esigenza di secessione, proprio perché la miglior tutela avviene a livello locale. Tradotto: non possiamo più sostenere una parte del paese a nostre spese.



Ma il federalismo non può sancire a livello costituzionale uno stato di cose più equilibrato?



Sarebbe la sua funzione storica, ma scattano a questo punto le tare materiali della realtà italiana: ci sono regioni del sud che non essendo in grado di amministrarsi non si assumeranno mai la responsabilità del loro autogoverno, e pretenderanno di essere sovvenzionate dal potere centrale. E il nord questo non potrà accettarlo.



Torniamo a Berlusconi. Fini può prendere il suo posto?



No, se lo tolga dalla testa. Al momento attuale non c’è nessuno che possa prendere il posto di Berlusconi, ammesso che egli non faccia grosse sciocchezze e rimanga sul filo della ragionevolezza. Berlusconi non ha successori. Tantomeno può succedergli un ex missino, per quanto ravveduto. Può accadere che un ex comunista arrivi alla presidenza del Consiglio, ma è destinato a starci poco, perché l’Italia non ha nostalgia degli eredi delle ideologie totalitarie del ’900. Ciò non toglie che abbia nostalgia per l’ordine e la disciplina, tratti caratterizzanti del fascismo. Diciamo meglio: l’Italia è fascista indipendentemente dalla nostalgia per i leader fascisti.



Per fortuna che in Italia c'è ancora qualcuno che dice qualcosa di autenticamente liberale.
Commento finale e inserimento dell'articolo da parte di Riccardo Rinaldi