Il Circolo Benedetto Croce di Ancona, l'Istituto Bruno Leoni e la casa editrice Liberilibri di Macerata organizzano un incontro sul pensiero di Bruno Leoni dal titolo:
"Bruno Leoni: Liberale d'eccezione
Ancona, sua città natale, ricorda un grandissimo pensatore del ‘900
L'incontro si svolgerà ad Ancona in data 10 novembre, ore 10,00, presso la sede della Facoltà di Economia Giorgio Fuà di Ancona (ex Caserma Villarey).
Interverranno:
Didi Leoni
Carlo Lottieri - Direttore del dipartimento di Teoria Politica dell'IBL
Serena Sileoni - Casa Editrice Liberilibri"
Patrocinio dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Ancona; della Provincia di Ancona; dell'ISTAO, della Round Table 42 di Ancona, della Regione Marche, dall'Università Politecnica delle Marche.
martedì 16 ottobre 2007
martedì 11 settembre 2007
BRUNO LEONI, IL PROFETA ITALIANO DELLA LIBERTÀ
Corriere della Sera, mercoledì 24 settembre 2003
“Scappati dalle loro gabbie al momento dell’armistizio con l’Italia, s’erano diretti verso Sud. E raggiunta la ricca regione agricola delle Marche, si erano fermati colà con quei gentili contadini, che gli avevano dato da mangiare, li avevano vestiti e forniti anche di un po’ di denaro. Ce n’erano circa ventimila nelle Marche ma soltanto poche centinaia di loro si erano lasciati persuadere dagli uomini della A Force a tentare di ritornare alle loro linee : gli altri preferivano un’oziosa vita di campagna, facendosi mantenere ora in una cascina, ora in un’altra anziché affrontare i rischi della fuga e i rigori della vita militare. Alcuni avevano sposato le figlie di quei contadini, e andavano parlando dei propri possedimenti; tutti avevano un aspetto esageratamente italiano, molti affettavano difficoltà a esprimersi in inglese”.
Ma in quel 1944 il mestiere di Bruno Leoni, trentunenne ufficiale della A Force, restava quello: riportare oltre la linea del fronte i prigionieri alleati. Vi rischiò più volte la vita, con un coraggio frenetico, ciarliero e l’andare più deciso dei bassi.
A guerra finita gli regalarono un orologio d’oro con scritto <>; gli parve ovvio tornare a insegnare all’Università. Il che non lo era poi tanto, visto che egli era un uomo pratico, che agiva e rideva estroverso, non aveva furie del dettaglio e scriveva per farsi capire. Un agire opposto a quello accademico, molto intento a intrighi introversi, pedanterie, scritti noiosi utili solo a carriere castali. Tuttavia era stato allievo di Gioele Solari e aveva ottenuto una cattedra davvero giovanissimo.
Si sentiva liberista certo per anglofilia ma prima ancora per quella simpatia innata verso la vita che lo portava a dar fiducia agli altri, al loro spontaneo regolarsi.
In università di crociani che distinguevano i liberali dai liberisti, di fedeli comunisti e di cattolici per cui il liberismo di don Sturzo era eretico, questa simpatia era già un peccato. Leoni era highly emotional, ebullient e anche tremendously energetic ma volentieri distratto. Quindi non s’arrabbiò più di tanto per le tre parrocchie sopraddette che intanto si amalgamavano nella cultura guelfa che trionferà in Italia dopo il 1968. Invece si entusiasmò per la Mont Pélerin Society, dov’erano von Hayek, e anche Popper.
Cosi neel 1958, mentre in Italia si celebravano Gramsci e i canti di gola delle mondine, venne invitato a Los Angeles a tenere con Friederich von Hayek e Milton Friedman un ciclo di lezioni. Da quegli appunti sortirono Constitution of liberty di Hayek, Capitalism and freedom di Friedman e Freedom and Law di Leoni.
I vari decenni di ritardo con cui furono tradotti spiega a cosa fosse evoluta intanto la cultura italiana.
Il libro di Leoni pubblicato più volte negli Stati Uniti e persino in spagnolo venne tradotto trentaquattro anni dopo da un coraggioso piccolo editore di Macerata. Il libro era scritto con praticità e senza citazioni complicate, all’anglosassone, dunque per l’Italia non era forse contorto abbastanza. Eppure quel libro lo rese non solo giurista famoso, ma fece di lui uno degli studiosi che preparò il ritorno in gran forza del liberismo negli ultimi decenni del secolo. Ripresa che invece sorprese gli economisti d’Italia, rapiti negli stessi anni dagli arzigogoli delle algebre lineari di Piero Sraffa. Bruno Leoni da segretario della Mont Pélerin Society organizzò due convegni in Italia, uno nel 1961 a Torino al quale partecipò prima di morire Einaudi e l’altro a Stresa nel 1965. Disdegnava il partito dell’austerità e amava i pranzi e svagarsi, quanto la polemica. Testrado paradossale previde il collasso dell’Unione Sovietica, ma dubitò di Gagarin in orbita. Comunque anticipò tutti i temi di cui oggi si discute. Biasimò l’egemonia del diritto pubblico su quello privato e quindi quelle norme astratte e generali per cui veniva meno la certezza della legge. La vita politica gli apparve per quello che purtroppo é ora : una guerra di tutti contro tutti combattuta tramite il potere legislativo. Ma soprattutto si preoccupò per le sorti della libertà di ognuno, minacciate da un eccesso di leggi e dal pregiudizio ideologico. Per lui il diritto non era un modo di riforma della società o per migliorarla; a un simile compito erano semmai adatti santi o eroi. Era piuttosto Rechsfindung qualcosa non decretato ma già esistente e che si trovava; non una norma fatta recitare da qualche ideologia alla volontà arbitraria di una maggioranza.
E già John S. Mill aveva capito che invece di essere garanzia contro il malgoverno le elezioni sono sovente solo una ruota addizionale del suo ingranaggio. Leoni notava come anche i briganti da strada sono talora una maggioranza.
Ma non capiva che i più nascono felici di nascere sudditi, e neppure considerano d’evadere da questo stato. Il destino di Leoni si ripeteva : far fuggire prigionieri che invece si volevano loro usciti di via. Così del resto vive quasi ognuno in Italia; come Pinabello al quale tanto <>; Ariosto, Orlando furioso, II, 68.
Leoni morì peraltro nel novembre del 1967, di morte inattesa per cause condominiali.
“Scappati dalle loro gabbie al momento dell’armistizio con l’Italia, s’erano diretti verso Sud. E raggiunta la ricca regione agricola delle Marche, si erano fermati colà con quei gentili contadini, che gli avevano dato da mangiare, li avevano vestiti e forniti anche di un po’ di denaro. Ce n’erano circa ventimila nelle Marche ma soltanto poche centinaia di loro si erano lasciati persuadere dagli uomini della A Force a tentare di ritornare alle loro linee : gli altri preferivano un’oziosa vita di campagna, facendosi mantenere ora in una cascina, ora in un’altra anziché affrontare i rischi della fuga e i rigori della vita militare. Alcuni avevano sposato le figlie di quei contadini, e andavano parlando dei propri possedimenti; tutti avevano un aspetto esageratamente italiano, molti affettavano difficoltà a esprimersi in inglese”.
Ma in quel 1944 il mestiere di Bruno Leoni, trentunenne ufficiale della A Force, restava quello: riportare oltre la linea del fronte i prigionieri alleati. Vi rischiò più volte la vita, con un coraggio frenetico, ciarliero e l’andare più deciso dei bassi.
A guerra finita gli regalarono un orologio d’oro con scritto <
Si sentiva liberista certo per anglofilia ma prima ancora per quella simpatia innata verso la vita che lo portava a dar fiducia agli altri, al loro spontaneo regolarsi.
In università di crociani che distinguevano i liberali dai liberisti, di fedeli comunisti e di cattolici per cui il liberismo di don Sturzo era eretico, questa simpatia era già un peccato. Leoni era highly emotional, ebullient e anche tremendously energetic ma volentieri distratto. Quindi non s’arrabbiò più di tanto per le tre parrocchie sopraddette che intanto si amalgamavano nella cultura guelfa che trionferà in Italia dopo il 1968. Invece si entusiasmò per la Mont Pélerin Society, dov’erano von Hayek, e anche Popper.
Cosi neel 1958, mentre in Italia si celebravano Gramsci e i canti di gola delle mondine, venne invitato a Los Angeles a tenere con Friederich von Hayek e Milton Friedman un ciclo di lezioni. Da quegli appunti sortirono Constitution of liberty di Hayek, Capitalism and freedom di Friedman e Freedom and Law di Leoni.
I vari decenni di ritardo con cui furono tradotti spiega a cosa fosse evoluta intanto la cultura italiana.
Il libro di Leoni pubblicato più volte negli Stati Uniti e persino in spagnolo venne tradotto trentaquattro anni dopo da un coraggioso piccolo editore di Macerata. Il libro era scritto con praticità e senza citazioni complicate, all’anglosassone, dunque per l’Italia non era forse contorto abbastanza. Eppure quel libro lo rese non solo giurista famoso, ma fece di lui uno degli studiosi che preparò il ritorno in gran forza del liberismo negli ultimi decenni del secolo. Ripresa che invece sorprese gli economisti d’Italia, rapiti negli stessi anni dagli arzigogoli delle algebre lineari di Piero Sraffa. Bruno Leoni da segretario della Mont Pélerin Society organizzò due convegni in Italia, uno nel 1961 a Torino al quale partecipò prima di morire Einaudi e l’altro a Stresa nel 1965. Disdegnava il partito dell’austerità e amava i pranzi e svagarsi, quanto la polemica. Testrado paradossale previde il collasso dell’Unione Sovietica, ma dubitò di Gagarin in orbita. Comunque anticipò tutti i temi di cui oggi si discute. Biasimò l’egemonia del diritto pubblico su quello privato e quindi quelle norme astratte e generali per cui veniva meno la certezza della legge. La vita politica gli apparve per quello che purtroppo é ora : una guerra di tutti contro tutti combattuta tramite il potere legislativo. Ma soprattutto si preoccupò per le sorti della libertà di ognuno, minacciate da un eccesso di leggi e dal pregiudizio ideologico. Per lui il diritto non era un modo di riforma della società o per migliorarla; a un simile compito erano semmai adatti santi o eroi. Era piuttosto Rechsfindung qualcosa non decretato ma già esistente e che si trovava; non una norma fatta recitare da qualche ideologia alla volontà arbitraria di una maggioranza.
E già John S. Mill aveva capito che invece di essere garanzia contro il malgoverno le elezioni sono sovente solo una ruota addizionale del suo ingranaggio. Leoni notava come anche i briganti da strada sono talora una maggioranza.
Ma non capiva che i più nascono felici di nascere sudditi, e neppure considerano d’evadere da questo stato. Il destino di Leoni si ripeteva : far fuggire prigionieri che invece si volevano loro usciti di via. Così del resto vive quasi ognuno in Italia; come Pinabello al quale tanto <
Leoni morì peraltro nel novembre del 1967, di morte inattesa per cause condominiali.
lunedì 10 settembre 2007
COMMEMORAZIONE DI HAYEK SU "IL POLITICO"
Il discorso commemorativo di Hayek, nel 1967, nell’Università di Leoni
Anche dopo tre mesi dalla sua tragica morte, è difficile credere che Bruno Leoni non è più tra noi. Amabile e dinamico, egli visse con una tale intensità che, più della maggior parte degli uomini, sembrava impersonare la vita stessa. Egli ci è stato sottratto da un destino crudele nel pieno delle sue forze quando le sue grandi realizzazioni giustificavano l’attesa di ancora più grandi risultati per il futuro. Aveva una natura così ricca che anche dopo molti anni di amicizia si scoprivano in lui sempre nuovi e insospettati aspetti di una grande personalità, di quel tipo che noi invidiamo alle età passate, ma che raramente incontriamo nel nostro tempo. Fra tutti i cittadini del mondo fra i quali egli va annoverato e tra i quali, in particolare, io lo incontrai, egli era unico.
Anche se proprio questa aula evoca il ricordo bruciante di meno di quattro anni fa, quando ebbi il privilegio di parlare qui, ospite di Bruno Leoni, fu in Paesi lontani, negli Stati Uniti e in Giappone così come in diverse città d’Europa, che io soprattutto lo conobbi. Non posso dirvi niente, perciò, della maggior parte della sua vita, a Pavia, a Torino e in Sardegna, della quale voi sapete molto più di me; mi devo limitare a parlarvi di Bruno Leoni come studioso e figura internazionale, dell’uomo che otteneva devozione e rispetto ovunque si recasse, e del quale sono orgoglioso di parlare, sia a nome dei nostri comuni amici in tutto il mondo, sia a mio nome personale. Scoprimmo presto che c’era in lui molto più dell’uomo che noi conoscevamo principalmente come eminente studioso, come devoto aderente alla causa della libertà e come instancabile organizzatore al servizio della causa. Ci rendemmo conto presto di quanto profondamente egli capisse le arti e la musica, specialmente l’arte orientale e anche la filosofia orientale - e ci rendemmo pure conto della sua abilità e del suo entusiasmo nel godere di tutte le cose belle e piacevoli che il mondo può offrire.Di tutti questi molteplici aspetti che rendevano così affascinante la sua compagnia, non so tuttavia così tanto da poterne parlare a lungo. In ciò che seguirà dovrò limitarmi a tre aspetti del suo lavoro per i quali, per circa dieci o dodici anni, i nostri sforzi hanno percorso una via parallela e dove, conseguentemente, ero riuscito a conoscerlo piuttosto bene. Il primo è il suo sforzo di superare la divisione delle scienze sociali e specialmente di colmare il vuoto che è venuto a separare lo studio del diritto da quello delle scienze sociali teoretiche. Il secondo è lo sforzo di fornire un fondamento intellettuale soddisfacente per la difesa della libertà individuale, nella quale egli credeva così fermamente. Il terzo punto è costituito da certi importanti suggerimenti contenuti nei suoi lavori scientifici che, mi sembra, indicano la via per la soluzione di alcuni problemi intellettuali della teoria politica ma che, poiché a Bruno Leoni non fu concesso il tempo di svilupparli completamente, sarà compito di coloro che desiderano onorare la sua memoria continuare dove egli li lasciò. Ma prima di passare al mio compito principale, devo dire alcune cose riguardo al tipo di amicizia che mi legava a Bruno Leoni.
L’onore che la vostra gloriosa Università mi ha fatto nel chiedermi di parlare in questa triste occasione, mi impone di spiegare di quale limitata autorità io sia fornito per assolvere questo compito.
Incontrai per la prima volta Bruno Leoni quattordici anni fa all’Università di Chicago, dove allora io insegnavo e dove egli si era recato, io credo, principalmente per approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni politiche angloamericane. Scoprimmo presto che i nostri interessi e ideali coincidevano in molti punti, e ciò lo condusse presto in quella organizzazione internazionale di studiosi e pubblicisti per lo studio delle condizioni necessarie per la salvaguardia della libertà individuale, la Mont Pèlerin Society, che io avevo fondato alcuni anni prima e alla cui attività egli avrebbe poi dedicato, in modo tanto considerevole, il suo tempo e la sua energia. Passammo ancora un po’ di tempo insieme, quasi dieci anni fa, al Claremont College in California, a un seminario dedicato ai problemi della libertà, dove egli tenne quelle conferenze sul tema Freedom and the Law del quale dovrò parlare più ampiamente in seguito. Fu allora che mi accorsi della capacità di Bruno Leoni di interessare il pubblico, della sua instancabile prontezza nel discutere i problemi intellettuali a ogni ora del giorno e della notte, e del suo amore per la vita che lo spingeva ad approfittare di ogni occasione che l’ambiente del momento gli offriva per istruirsi o divertirsi. Mi sia permesso di ricordare qui un piccolo episodio che capitò in quella occasione. Noi conferenzieri del seminario eravamo piuttosto occupati e apprezzavamo molto le tre ore successive al pasto del mezzogiorno durante le quali non avevamo nessun impegno particolare. Quando Bruno Leoni regolarmente scompariva durante quel lasso di tempo, noi tiravamo la «naturale conclusione». Ma come ci sbagliavamo! Egli aveva trovato il modo di prendere lezioni di volo a un vicino aerodromo e passava ai comandi di un aeroplano le ore che gli altri dedicavano al riposo.Non molto più tardi incontrai di nuovo Bruno Leoni negli Stati Uniti, non di persona, ma seguendo i suoi passi e notando la profonda impressione che egli lasciava nella sua scia: nel 1961 io gli succedetti come Visiting Professor al Thomas Jefferson Center of Studies in Political Economy all’Università di Virginia, e potei rendermi conto del grande influsso che egli aveva esercitato. Ma anche prima ci eravamo trovati ancora più uniti dagli incalcolabili servizi che egli rese durante un periodo di crisi, alla società internazionale di cui ho parlato prima e della quale, di conseguenza, egli divenne e rimase lo spirito-guida fino al momento della sua morte. Dal momento che Bruno Leoni non aveva niente a che fare con l’origine di tale conflitto, non è necessario che io spieghi qui la natura di quella crisi che sorse, come può accadere in ogni gruppo, da una certa incompatibilità dei temperamenti e che, a un certo momento, minacciò di far naufragare la società. Ma, eletto segretario nel bel mezzo di quel conflitto, e divenuto per un certo tempo, dopo le dimissioni del presidente, il principale responsabile delle attività della Società, egli la guidò con mani sicure attraverso acque turbolente non solo a un mare più calmo ma a un nuovo periodo di fiorente attività. I congressi annuali tenuti a Torino, a Knokke-sur-mer in Belgio, a Semmering in Austria, a Stresa, a Tokyo e a Vichy, che egli organizzò, furono fra i più felici che la nostra società abbia mai avuto: nel corso dell’ultimo congresso a Vichy, solo sei mesi fa, egli, per acclamazione generale, fu eletto presidente, succedendo, in quella carica a Friedrich Lutz e, prima, a John Jewkes, a Wilhelm Roepke e a me. Solo adesso, di fronte al problema di trovargli un successore, ci rendiamo conto di ciò che egli rappresentava per la Società.Ora devo passare al suo lavoro di studioso e di scienziato, di cui conosco bene soltanto ciò che pubblicò in inglese e solo una piccola parte di quanto apparve in italiano. Bruno Leoni era uno di quegli uomini, sempre più rari, che avevano il coraggio di trascendere i limiti di una specialità e di cercare di vedere i problemi della società come un tutto. Con la sua enorme energia e prontezza di percezione egli riuscì a evitare i pericoli del dilettantismo che spesso si accompagna a chi si dedica a molti campi di studio. Egli era, naturalmente, prima di tutto, un giurista e, immagino, un avvocato molto efficiente. Ma anche nella sfera del diritto, egli era tanto filosofo, sociologo e storico del diritto quanto maestro del diritto positivo. Che egli fosse anche un eminente scienziato della politica è cosa forse naturale in un docente di materia pubblicistica così interessato come lui alla storia delle idee. E allo sviluppo della scienza politica in Italia, e non solo in Italia, egli contribuì anche con la rivista Il Politico da lui fondata e diretta per tanti anni. Ma ciò non esaurisce affatto l’arco completo delle sue curiosità: posso testimoniare che egli era un degno teorico dell’economia, e che lavorò intorno ad alcune delle parti più difficili dell’economia matematica mostrando un’approfondita penetrazione di alcune delle difficoltà metodologiche che gli sviluppi moderni in questo campo hanno fatto sorgere. Ciò naturalmente era strettamente connesso a un altro dei suoi principali interessi che ho lasciato per ultimo: la filosofia della scienza. Egli era uno dei fondatori e uno dei membri più attivi del Centro di Studi Metodologici di Torino: e il lavoro che svolse in questo campo lo portò ad alcuni dei problemi fondamentali della filosofia generale.Uno sguardo all’elenco delle pubblicazioni di Bruno Leoni mostra la varietà dei suoi interessi. La lista che ho qui davanti a me enumera più di ottanta pubblicazioni di cui più di settanta portano la data di questi ultimi vent’anni. Fra queste, molte sono di difficile approccio per uno straniero e sconosciute a me. Spero che qualcuno raccoglierà i suoi più importanti scritti occasionali in un volume per onorare la sua memoria. È un vero peccato, in particolare, che egli non abbia trovato il tempo di preparare per la pubblicazione definitiva il suggestivo e originale primo volume delle sue Lezioni di Filosofia del Diritto che tratta del pensiero dell’antichità classica, e che egli preparò nel 1949 in edizione litografata per i suoi studenti. Specialmente il modo in cui egli tratta il problema della relazione fra physis e nomos nel pensiero greco antico mi pare che meriti ampiamente di essere sviluppata. Dalla mia incompleta conoscenza dei suoi scritti mi pare tuttavia che quel suo libro Freedom and the Law che si trova solo in inglese e spagnolo, sia di gran lunga il più importante dei suoi lavori, sia per ciò che dice esplicitamente, e ancora più perché contiene accenni a ulteriori sviluppi, pone problemi senza risolverli completamente e che ora restano a noi, suoi amici e ammiratori, da riprendere e sviluppare. Nel suo tema centrale quel libro è così anticonformista e anche direttamente opposto a molte delle cose che oggi sono quasi universalmente accettate che c’è il pericolo che possa non essere considerato seriamente come merita o liquidato come capricciosa speculazione di un uomo in contrasto con il suo tempo. Sarebbe forse possibile distorcere lo spirito della sua tesi principale nell’asserzione che l’invenzione della legislazione fu un errore e che il mondo farebbe meglio a rinunciare del tutto alla legislazione e a basarsi esclusivamente sulla formazione del diritto da parte dei giudici e dei giuristi, così come è avvenuto nella formazione dell’antico diritto romano e della common law inglese. Ma, anche se alcune affermazioni isolate del libro possono prestarsi a una tale interpretazione, Bruno Leoni esplicitamente la respinge. Ciò che egli cerca di affermare è il punto molto importante che il diritto che emerge dalla giurisdizione e dal lavoro dei giuristi possiede necessariamente alcune caratteristiche che i prodotti della legislazione possono ma non devono necessariamente possedere e che, d’altra parte, sono essenziali per la salvaguardia della libertà individuale. Egli ha esposto esplicitamente soltanto alcune di queste caratteristiche che il diritto di formazione giudiziaria possiede necessariamente e che ogni diritto dovrebbe possedere in una società di uomini liberi. Egli afferma in modo persuasivo e mi ha convinto che, anche se la codificazione fu intesa ad aumentare la certezza del diritto, essa aumentò tutt’al più la certezza del diritto di breve periodo (e non sono più sicuro che sia rigorosamente vero), mentre l’abitudine di alterare il diritto mediante la legislazione diminuisce certamente la certezza del diritto di lungo periodo. Egli mostrò inoltre che una caratteristica delle regole di giusta condotta che emergono dal processo spontaneo di formazione del diritto è che queste norme erano essenzialmente negative, regole tendenti alla determinazione di una sfera protetta per ciascun individuo e rappresentative, come tali, di una effettiva garanzia di libertà individuale. Come per altri pensatori profondi, il compito del diritto non era per lui tanto quello di «creare giustizia», quanto quello di «prevenire l’ingiustizia». E con l’accento sulla regola aurea «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» - una regola che, come egli teneva a sottolineare, il Confucianesimo ebbe in comune con il Cristianesimo - egli suggeriva un criterio ugualmente negativo della giustizia delle norme giuridiche, con l’applicazione coerente del quale, potremmo sperare di avvicinarci sempre più alla giustizia. Probabilmente la ricchezza dei suggerimenti che Freedom and the Law contiene sarà pienamente chiara soltanto a coloro che hanno già lavorato in una direzione analoga. Bruno Leoni sarebbe stato l’ultimo a negare che questa è semplicemente l’indicazione di una via e che molto lavoro c’è ancora da fare prima che i germogli delle nuove idee che il libro contiene così riccamente, possano fiorire in tutto il suo splendore. È parte della tragedia dell’improvvisa fine della sua ricca vita il fatto che possiamo vedere quanto ancora egli avrebbe potuto darci. Se oggi ho ritenuto che fosse mio dovere parlare principalmente di Bruno Leoni come studioso, non è stato solo perché questo era il suo lato che conoscevo meglio, ma anche perché vi è forse qualche pericolo che il suo lavoro, essendo rimasto incompiuto, possa non essere apprezzato nel suo giusto valore. Ma per coloro che gli sono stati vicini ciò sembrerà solo una piccola parte dell’uomo Bruno Leoni. Anche a coloro che lo conoscevano soprattutto nell’esercizio delle sue attività professionali questo mondo deve sembrare un posto più povero senza di lui. Posso pienamente capire cosa deve avere significato la sua perdita per i suoi studenti ai quali egli dedicò una parte considerevole della sua attività e delle sue energie. Ma la nostra più profonda simpatia deve andare in questo momento alle care persone per le quali egli era il centro della vita, alle quali egli poteva non solo offrire una casa bella e armoniosa ma anche tutto l’affetto di un cuore generoso, e dove egli lascia un vuoto che nessuno potrà mai riempire. Sappiamo che era molto di più che uno studioso; ma speriamo che possa recare almeno un po’ di consolazione a coloro che egli ha lasciato soli questo tributo pagato alla memoria di Leoni studioso, docente, maestro.
Da «Omaggio a Bruno Leoni», Quaderni della rivista Il Politico n.7, 1969, Istituto di Scienze Politiche dell’Università di Pavia - Giuffré
Anche dopo tre mesi dalla sua tragica morte, è difficile credere che Bruno Leoni non è più tra noi. Amabile e dinamico, egli visse con una tale intensità che, più della maggior parte degli uomini, sembrava impersonare la vita stessa. Egli ci è stato sottratto da un destino crudele nel pieno delle sue forze quando le sue grandi realizzazioni giustificavano l’attesa di ancora più grandi risultati per il futuro. Aveva una natura così ricca che anche dopo molti anni di amicizia si scoprivano in lui sempre nuovi e insospettati aspetti di una grande personalità, di quel tipo che noi invidiamo alle età passate, ma che raramente incontriamo nel nostro tempo. Fra tutti i cittadini del mondo fra i quali egli va annoverato e tra i quali, in particolare, io lo incontrai, egli era unico.
Anche se proprio questa aula evoca il ricordo bruciante di meno di quattro anni fa, quando ebbi il privilegio di parlare qui, ospite di Bruno Leoni, fu in Paesi lontani, negli Stati Uniti e in Giappone così come in diverse città d’Europa, che io soprattutto lo conobbi. Non posso dirvi niente, perciò, della maggior parte della sua vita, a Pavia, a Torino e in Sardegna, della quale voi sapete molto più di me; mi devo limitare a parlarvi di Bruno Leoni come studioso e figura internazionale, dell’uomo che otteneva devozione e rispetto ovunque si recasse, e del quale sono orgoglioso di parlare, sia a nome dei nostri comuni amici in tutto il mondo, sia a mio nome personale. Scoprimmo presto che c’era in lui molto più dell’uomo che noi conoscevamo principalmente come eminente studioso, come devoto aderente alla causa della libertà e come instancabile organizzatore al servizio della causa. Ci rendemmo conto presto di quanto profondamente egli capisse le arti e la musica, specialmente l’arte orientale e anche la filosofia orientale - e ci rendemmo pure conto della sua abilità e del suo entusiasmo nel godere di tutte le cose belle e piacevoli che il mondo può offrire.Di tutti questi molteplici aspetti che rendevano così affascinante la sua compagnia, non so tuttavia così tanto da poterne parlare a lungo. In ciò che seguirà dovrò limitarmi a tre aspetti del suo lavoro per i quali, per circa dieci o dodici anni, i nostri sforzi hanno percorso una via parallela e dove, conseguentemente, ero riuscito a conoscerlo piuttosto bene. Il primo è il suo sforzo di superare la divisione delle scienze sociali e specialmente di colmare il vuoto che è venuto a separare lo studio del diritto da quello delle scienze sociali teoretiche. Il secondo è lo sforzo di fornire un fondamento intellettuale soddisfacente per la difesa della libertà individuale, nella quale egli credeva così fermamente. Il terzo punto è costituito da certi importanti suggerimenti contenuti nei suoi lavori scientifici che, mi sembra, indicano la via per la soluzione di alcuni problemi intellettuali della teoria politica ma che, poiché a Bruno Leoni non fu concesso il tempo di svilupparli completamente, sarà compito di coloro che desiderano onorare la sua memoria continuare dove egli li lasciò. Ma prima di passare al mio compito principale, devo dire alcune cose riguardo al tipo di amicizia che mi legava a Bruno Leoni.
L’onore che la vostra gloriosa Università mi ha fatto nel chiedermi di parlare in questa triste occasione, mi impone di spiegare di quale limitata autorità io sia fornito per assolvere questo compito.
Incontrai per la prima volta Bruno Leoni quattordici anni fa all’Università di Chicago, dove allora io insegnavo e dove egli si era recato, io credo, principalmente per approfondire la sua conoscenza del diritto e delle istituzioni politiche angloamericane. Scoprimmo presto che i nostri interessi e ideali coincidevano in molti punti, e ciò lo condusse presto in quella organizzazione internazionale di studiosi e pubblicisti per lo studio delle condizioni necessarie per la salvaguardia della libertà individuale, la Mont Pèlerin Society, che io avevo fondato alcuni anni prima e alla cui attività egli avrebbe poi dedicato, in modo tanto considerevole, il suo tempo e la sua energia. Passammo ancora un po’ di tempo insieme, quasi dieci anni fa, al Claremont College in California, a un seminario dedicato ai problemi della libertà, dove egli tenne quelle conferenze sul tema Freedom and the Law del quale dovrò parlare più ampiamente in seguito. Fu allora che mi accorsi della capacità di Bruno Leoni di interessare il pubblico, della sua instancabile prontezza nel discutere i problemi intellettuali a ogni ora del giorno e della notte, e del suo amore per la vita che lo spingeva ad approfittare di ogni occasione che l’ambiente del momento gli offriva per istruirsi o divertirsi. Mi sia permesso di ricordare qui un piccolo episodio che capitò in quella occasione. Noi conferenzieri del seminario eravamo piuttosto occupati e apprezzavamo molto le tre ore successive al pasto del mezzogiorno durante le quali non avevamo nessun impegno particolare. Quando Bruno Leoni regolarmente scompariva durante quel lasso di tempo, noi tiravamo la «naturale conclusione». Ma come ci sbagliavamo! Egli aveva trovato il modo di prendere lezioni di volo a un vicino aerodromo e passava ai comandi di un aeroplano le ore che gli altri dedicavano al riposo.Non molto più tardi incontrai di nuovo Bruno Leoni negli Stati Uniti, non di persona, ma seguendo i suoi passi e notando la profonda impressione che egli lasciava nella sua scia: nel 1961 io gli succedetti come Visiting Professor al Thomas Jefferson Center of Studies in Political Economy all’Università di Virginia, e potei rendermi conto del grande influsso che egli aveva esercitato. Ma anche prima ci eravamo trovati ancora più uniti dagli incalcolabili servizi che egli rese durante un periodo di crisi, alla società internazionale di cui ho parlato prima e della quale, di conseguenza, egli divenne e rimase lo spirito-guida fino al momento della sua morte. Dal momento che Bruno Leoni non aveva niente a che fare con l’origine di tale conflitto, non è necessario che io spieghi qui la natura di quella crisi che sorse, come può accadere in ogni gruppo, da una certa incompatibilità dei temperamenti e che, a un certo momento, minacciò di far naufragare la società. Ma, eletto segretario nel bel mezzo di quel conflitto, e divenuto per un certo tempo, dopo le dimissioni del presidente, il principale responsabile delle attività della Società, egli la guidò con mani sicure attraverso acque turbolente non solo a un mare più calmo ma a un nuovo periodo di fiorente attività. I congressi annuali tenuti a Torino, a Knokke-sur-mer in Belgio, a Semmering in Austria, a Stresa, a Tokyo e a Vichy, che egli organizzò, furono fra i più felici che la nostra società abbia mai avuto: nel corso dell’ultimo congresso a Vichy, solo sei mesi fa, egli, per acclamazione generale, fu eletto presidente, succedendo, in quella carica a Friedrich Lutz e, prima, a John Jewkes, a Wilhelm Roepke e a me. Solo adesso, di fronte al problema di trovargli un successore, ci rendiamo conto di ciò che egli rappresentava per la Società.Ora devo passare al suo lavoro di studioso e di scienziato, di cui conosco bene soltanto ciò che pubblicò in inglese e solo una piccola parte di quanto apparve in italiano. Bruno Leoni era uno di quegli uomini, sempre più rari, che avevano il coraggio di trascendere i limiti di una specialità e di cercare di vedere i problemi della società come un tutto. Con la sua enorme energia e prontezza di percezione egli riuscì a evitare i pericoli del dilettantismo che spesso si accompagna a chi si dedica a molti campi di studio. Egli era, naturalmente, prima di tutto, un giurista e, immagino, un avvocato molto efficiente. Ma anche nella sfera del diritto, egli era tanto filosofo, sociologo e storico del diritto quanto maestro del diritto positivo. Che egli fosse anche un eminente scienziato della politica è cosa forse naturale in un docente di materia pubblicistica così interessato come lui alla storia delle idee. E allo sviluppo della scienza politica in Italia, e non solo in Italia, egli contribuì anche con la rivista Il Politico da lui fondata e diretta per tanti anni. Ma ciò non esaurisce affatto l’arco completo delle sue curiosità: posso testimoniare che egli era un degno teorico dell’economia, e che lavorò intorno ad alcune delle parti più difficili dell’economia matematica mostrando un’approfondita penetrazione di alcune delle difficoltà metodologiche che gli sviluppi moderni in questo campo hanno fatto sorgere. Ciò naturalmente era strettamente connesso a un altro dei suoi principali interessi che ho lasciato per ultimo: la filosofia della scienza. Egli era uno dei fondatori e uno dei membri più attivi del Centro di Studi Metodologici di Torino: e il lavoro che svolse in questo campo lo portò ad alcuni dei problemi fondamentali della filosofia generale.Uno sguardo all’elenco delle pubblicazioni di Bruno Leoni mostra la varietà dei suoi interessi. La lista che ho qui davanti a me enumera più di ottanta pubblicazioni di cui più di settanta portano la data di questi ultimi vent’anni. Fra queste, molte sono di difficile approccio per uno straniero e sconosciute a me. Spero che qualcuno raccoglierà i suoi più importanti scritti occasionali in un volume per onorare la sua memoria. È un vero peccato, in particolare, che egli non abbia trovato il tempo di preparare per la pubblicazione definitiva il suggestivo e originale primo volume delle sue Lezioni di Filosofia del Diritto che tratta del pensiero dell’antichità classica, e che egli preparò nel 1949 in edizione litografata per i suoi studenti. Specialmente il modo in cui egli tratta il problema della relazione fra physis e nomos nel pensiero greco antico mi pare che meriti ampiamente di essere sviluppata. Dalla mia incompleta conoscenza dei suoi scritti mi pare tuttavia che quel suo libro Freedom and the Law che si trova solo in inglese e spagnolo, sia di gran lunga il più importante dei suoi lavori, sia per ciò che dice esplicitamente, e ancora più perché contiene accenni a ulteriori sviluppi, pone problemi senza risolverli completamente e che ora restano a noi, suoi amici e ammiratori, da riprendere e sviluppare. Nel suo tema centrale quel libro è così anticonformista e anche direttamente opposto a molte delle cose che oggi sono quasi universalmente accettate che c’è il pericolo che possa non essere considerato seriamente come merita o liquidato come capricciosa speculazione di un uomo in contrasto con il suo tempo. Sarebbe forse possibile distorcere lo spirito della sua tesi principale nell’asserzione che l’invenzione della legislazione fu un errore e che il mondo farebbe meglio a rinunciare del tutto alla legislazione e a basarsi esclusivamente sulla formazione del diritto da parte dei giudici e dei giuristi, così come è avvenuto nella formazione dell’antico diritto romano e della common law inglese. Ma, anche se alcune affermazioni isolate del libro possono prestarsi a una tale interpretazione, Bruno Leoni esplicitamente la respinge. Ciò che egli cerca di affermare è il punto molto importante che il diritto che emerge dalla giurisdizione e dal lavoro dei giuristi possiede necessariamente alcune caratteristiche che i prodotti della legislazione possono ma non devono necessariamente possedere e che, d’altra parte, sono essenziali per la salvaguardia della libertà individuale. Egli ha esposto esplicitamente soltanto alcune di queste caratteristiche che il diritto di formazione giudiziaria possiede necessariamente e che ogni diritto dovrebbe possedere in una società di uomini liberi. Egli afferma in modo persuasivo e mi ha convinto che, anche se la codificazione fu intesa ad aumentare la certezza del diritto, essa aumentò tutt’al più la certezza del diritto di breve periodo (e non sono più sicuro che sia rigorosamente vero), mentre l’abitudine di alterare il diritto mediante la legislazione diminuisce certamente la certezza del diritto di lungo periodo. Egli mostrò inoltre che una caratteristica delle regole di giusta condotta che emergono dal processo spontaneo di formazione del diritto è che queste norme erano essenzialmente negative, regole tendenti alla determinazione di una sfera protetta per ciascun individuo e rappresentative, come tali, di una effettiva garanzia di libertà individuale. Come per altri pensatori profondi, il compito del diritto non era per lui tanto quello di «creare giustizia», quanto quello di «prevenire l’ingiustizia». E con l’accento sulla regola aurea «non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te» - una regola che, come egli teneva a sottolineare, il Confucianesimo ebbe in comune con il Cristianesimo - egli suggeriva un criterio ugualmente negativo della giustizia delle norme giuridiche, con l’applicazione coerente del quale, potremmo sperare di avvicinarci sempre più alla giustizia. Probabilmente la ricchezza dei suggerimenti che Freedom and the Law contiene sarà pienamente chiara soltanto a coloro che hanno già lavorato in una direzione analoga. Bruno Leoni sarebbe stato l’ultimo a negare che questa è semplicemente l’indicazione di una via e che molto lavoro c’è ancora da fare prima che i germogli delle nuove idee che il libro contiene così riccamente, possano fiorire in tutto il suo splendore. È parte della tragedia dell’improvvisa fine della sua ricca vita il fatto che possiamo vedere quanto ancora egli avrebbe potuto darci. Se oggi ho ritenuto che fosse mio dovere parlare principalmente di Bruno Leoni come studioso, non è stato solo perché questo era il suo lato che conoscevo meglio, ma anche perché vi è forse qualche pericolo che il suo lavoro, essendo rimasto incompiuto, possa non essere apprezzato nel suo giusto valore. Ma per coloro che gli sono stati vicini ciò sembrerà solo una piccola parte dell’uomo Bruno Leoni. Anche a coloro che lo conoscevano soprattutto nell’esercizio delle sue attività professionali questo mondo deve sembrare un posto più povero senza di lui. Posso pienamente capire cosa deve avere significato la sua perdita per i suoi studenti ai quali egli dedicò una parte considerevole della sua attività e delle sue energie. Ma la nostra più profonda simpatia deve andare in questo momento alle care persone per le quali egli era il centro della vita, alle quali egli poteva non solo offrire una casa bella e armoniosa ma anche tutto l’affetto di un cuore generoso, e dove egli lascia un vuoto che nessuno potrà mai riempire. Sappiamo che era molto di più che uno studioso; ma speriamo che possa recare almeno un po’ di consolazione a coloro che egli ha lasciato soli questo tributo pagato alla memoria di Leoni studioso, docente, maestro.
Da «Omaggio a Bruno Leoni», Quaderni della rivista Il Politico n.7, 1969, Istituto di Scienze Politiche dell’Università di Pavia - Giuffré
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