Cerca nel blog

martedì 11 settembre 2007

BRUNO LEONI, IL PROFETA ITALIANO DELLA LIBERTÀ

Corriere della Sera, mercoledì 24 settembre 2003
“Scappati dalle loro gabbie al momento dell’armistizio con l’Italia, s’erano diretti verso Sud. E raggiunta la ricca regione agricola delle Marche, si erano fermati colà con quei gentili contadini, che gli avevano dato da mangiare, li avevano vestiti e forniti anche di un po’ di denaro. Ce n’erano circa ventimila nelle Marche ma soltanto poche centinaia di loro si erano lasciati persuadere dagli uomini della A Force a tentare di ritornare alle loro linee : gli altri preferivano un’oziosa vita di campagna, facendosi mantenere ora in una cascina, ora in un’altra anziché affrontare i rischi della fuga e i rigori della vita militare. Alcuni avevano sposato le figlie di quei contadini, e andavano parlando dei propri possedimenti; tutti avevano un aspetto esageratamente italiano, molti affettavano difficoltà a esprimersi in inglese”.
Ma in quel 1944 il mestiere di Bruno Leoni, trentunenne ufficiale della A Force, restava quello: riportare oltre la linea del fronte i prigionieri alleati. Vi rischiò più volte la vita, con un coraggio frenetico, ciarliero e l’andare più deciso dei bassi.
A guerra finita gli regalarono un orologio d’oro con scritto <>; gli parve ovvio tornare a insegnare all’Università. Il che non lo era poi tanto, visto che egli era un uomo pratico, che agiva e rideva estroverso, non aveva furie del dettaglio e scriveva per farsi capire. Un agire opposto a quello accademico, molto intento a intrighi introversi, pedanterie, scritti noiosi utili solo a carriere castali. Tuttavia era stato allievo di Gioele Solari e aveva ottenuto una cattedra davvero giovanissimo.
Si sentiva liberista certo per anglofilia ma prima ancora per quella simpatia innata verso la vita che lo portava a dar fiducia agli altri, al loro spontaneo regolarsi.
In università di crociani che distinguevano i liberali dai liberisti, di fedeli comunisti e di cattolici per cui il liberismo di don Sturzo era eretico, questa simpatia era già un peccato. Leoni era highly emotional, ebullient e anche tremendously energetic ma volentieri distratto. Quindi non s’arrabbiò più di tanto per le tre parrocchie sopraddette che intanto si amalgamavano nella cultura guelfa che trionferà in Italia dopo il 1968. Invece si entusiasmò per la Mont Pélerin Society, dov’erano von Hayek, e anche Popper.
Cosi neel 1958, mentre in Italia si celebravano Gramsci e i canti di gola delle mondine, venne invitato a Los Angeles a tenere con Friederich von Hayek e Milton Friedman un ciclo di lezioni. Da quegli appunti sortirono Constitution of liberty di Hayek, Capitalism and freedom di Friedman e Freedom and Law di Leoni.
I vari decenni di ritardo con cui furono tradotti spiega a cosa fosse evoluta intanto la cultura italiana.
Il libro di Leoni pubblicato più volte negli Stati Uniti e persino in spagnolo venne tradotto trentaquattro anni dopo da un coraggioso piccolo editore di Macerata. Il libro era scritto con praticità e senza citazioni complicate, all’anglosassone, dunque per l’Italia non era forse contorto abbastanza. Eppure quel libro lo rese non solo giurista famoso, ma fece di lui uno degli studiosi che preparò il ritorno in gran forza del liberismo negli ultimi decenni del secolo. Ripresa che invece sorprese gli economisti d’Italia, rapiti negli stessi anni dagli arzigogoli delle algebre lineari di Piero Sraffa. Bruno Leoni da segretario della Mont Pélerin Society organizzò due convegni in Italia, uno nel 1961 a Torino al quale partecipò prima di morire Einaudi e l’altro a Stresa nel 1965. Disdegnava il partito dell’austerità e amava i pranzi e svagarsi, quanto la polemica. Testrado paradossale previde il collasso dell’Unione Sovietica, ma dubitò di Gagarin in orbita. Comunque anticipò tutti i temi di cui oggi si discute. Biasimò l’egemonia del diritto pubblico su quello privato e quindi quelle norme astratte e generali per cui veniva meno la certezza della legge. La vita politica gli apparve per quello che purtroppo é ora : una guerra di tutti contro tutti combattuta tramite il potere legislativo. Ma soprattutto si preoccupò per le sorti della libertà di ognuno, minacciate da un eccesso di leggi e dal pregiudizio ideologico. Per lui il diritto non era un modo di riforma della società o per migliorarla; a un simile compito erano semmai adatti santi o eroi. Era piuttosto Rechsfindung qualcosa non decretato ma già esistente e che si trovava; non una norma fatta recitare da qualche ideologia alla volontà arbitraria di una maggioranza.
E già John S. Mill aveva capito che invece di essere garanzia contro il malgoverno le elezioni sono sovente solo una ruota addizionale del suo ingranaggio. Leoni notava come anche i briganti da strada sono talora una maggioranza.
Ma non capiva che i più nascono felici di nascere sudditi, e neppure considerano d’evadere da questo stato. Il destino di Leoni si ripeteva : far fuggire prigionieri che invece si volevano loro usciti di via. Così del resto vive quasi ognuno in Italia; come Pinabello al quale tanto <>; Ariosto, Orlando furioso, II, 68.
Leoni morì peraltro nel novembre del 1967, di morte inattesa per cause condominiali.

Nessun commento: