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domenica 31 gennaio 2010

SANT'AGOSTINO E IL LIBERO ARBITRIO

Nell'incontro di venerdì Claudio Pietroni ha introdotto casualmente il concetto di libero arbitrio.
Poco dopo io, del tutto casualmente ho ricordato ai presenti che domenica, in televisione avrebbero proposto in due puntate (anche lunedì) lo sceneggiato Sant'Agostino.
Le due cose sono state veramente casuali ma io con questo scritto voglio suggerire che la casualità talvolta ha un senso logico.
Infatti le due cose sono strettamente legate tra loro e rappresentano le fondamenta del pensiero cristiano ed anche in qualche modo il punto d'incotro tra pensiero religioso (trascendente) e pensiero liberale (immanente).
La questione sta in questi termini.
Fin dalle origini i Cristiani si sono domandati se l'uomo possiede la libertà di essere buono o cattivo e quindi se possiede in se la forza per scegliere il bene.
La questione si è trascinata per quattro secoli tra dispute varie finchè è giunta fino a Agostino, Vescovo di Ippona, che tra le tante cose importanti che ha scritto (la sua Opera Omnia è veramente monumentale ed è stata raccolta solo di recente) ha anche inscenato una disputa feroce con tale Pelagio che all'epoca andava asserendo che l'uomo è libero in proprio di scegliere il bene anzichè il male e che dipende da lui e da lui solo.
Agostino, che il male l'aveva ben conosciuto in vita sua e lo vedrete stasera nello sceneggiato, rispondeva rifacendosi a San Paolo che in molti punti delle sue Lettere sembrava asserire il contrario.
Rifacendosi al Nuovo Testamento e alle parole del Vangelo, Agostino interpretava San Paolo fino a concludere che l'uomo è pervaso dal peccato, da quella che lui chiamava concupiscenza, e che non aveva e non ha in se la potenza di agire diversamente da un peccatore.
Da ciò nasceva il concetto di Grazia che era l'unica potenza, di origine divina capace di sollevare l'uomo peccatore ed aiutarlo a pentirsi e disporsi al bene.
Ne discendeva che Dio perdonava l'uomo del suo essere peccatore attraverso lo strumento della giustificazione che cadeva su tutti coloro che si predisponevano all'amore di Dio con spirito contrito, con le preghiere e con le opere.
Cioè è la fede che salva l'uomo perchè l'uomo da solo non sarebbe in grado di salvarsi.
Certo la tesi non è così favorevole per l'uomo in quanto non è solo a parole, cioè solo dichiarandosi peccatore che si salva l'uomo.
E' necessario conoscere la propria reale identità col peccato, accettare la tesi che si è peccatori anche se non si sembra, divenire peccatore "spiritualmente".
Tutto ciò comporta il rifiuto a considerare giuste e buone le proprie opere e di riporre in esse fiducia.
Le opere non salvano, ma hanno un valore preparatorio e assomigliano a una preghiera, umile e fiduciosa rivolta a Dio, perchè renda giusto l'uomo peccatore.
Tuttavia Dio giustifica l'uomo, non per le opere, ma gratuitamente, per quello che egli stesso ha ispirato e guidato nel cuore.
L'uomo, riconoscendo la propria realtà di peccato, riceve il dono di Dio e viene trasformato dalla parola in creatura nuova.
Agostino nelle sue opere prende posizione contro la scuola Pelagiana e fa sterzare la Chiesa verso una impostazione che poi ne ha determinato il corso teologico.
Infatti Martin Lutero nel 1500 riprende il pensiero di Agostino (Lutero era un monaco Agostiniano) e nelle sue 95 tesi che affigge alla porta della cattedrale di Wittenberg riprende e rafforza il concetto assieme naturalmente a molte altre considerazioni sulla necessità di riformare la Chiesa del tempo.
Anzi fa di più, poco tempo dopo scrive un libro intitolato "De servo arbitrio" in antitesi con il libro scritto da Erasmo da Rotterdam intitolato "De libero arbitrio" il quale, per conto della Chiesa di allora, intendeva rintuzzare le tesi affisse al portone della cattedrale.
Como è noto quell'episodio fu l'inizio della riforma Luterana e diede avvio a quello che va sotto il nome di Protestantesimo.
Poco dopo sarebbe avvenuto il Concilio di Trento che avrebbe tentato, senza riuscirvi, di far conciliare le diverse opinioni a confrotno.
Per aggiornare al massimo il resoconto sull'argomento mi consta riferire che recentemente c'è stato un passo importante di riavvicinamento tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante sul punto in questione.
Ad Augusta, il 31 ottobre 1999, è stata firmata una dichiarazione congiunta della Chiesa Cattolica e della Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione che rappresenta un primo passo importante verso la riunificazione tra cattolicesimo e protestantesimo.
Invito tutti a leggerla in quanto potrebbe essere un passo molto importante al quale noi contemporanei abbiamo partecipato senza probabilmente esserne a conoscenza.
A noi liberali tutta questa storia insegna ancor più di tenere distinto il pensiero religioso da quello liberale.
Infatti sembrerebbe che il liberalismo debba spingere a pensare con Pelagio e con Erasmo da Rotterdam che l'uomo è veramente libero di scegliere e fare tanto il bene quanto il male, di possedere cioè come diceva Claudio Pietroni l'altro giorno il libero arbitrio.
Ma attenzione la questione è più sottile.
Il pensiero liberale dice che l'uomo è puro egoismo (peccatore), ma che perseguendo il suo egoismo in libertà è in grado di apportare un beneficio concreto a tutta l'umanità in termini di ricchezza e benessere, cioè in termini di felicità umana.
Naturalmente nel rispetto del principio di non recare mai danno agli altri, cioè essendo fondamentalmente giusto nelle sue azioni.
Questa apparente contraddizione ci fa ancor più ritenere che, come dicevo in un mio precedente scritto, che si può essere contemporaneamente buoni Cristiani e buoni liberali assieme, ma non nel nome del libero arbitrio quanto nel nome della distinzione tra regno terreno e regno dei cieli.
Tutto ciò fa comprendere perchè l'altra sera mi sono permesso di dire che i tre principali padri della Chiesa Cristiana (attenzione ho detto Cristiana e non Cattolica) sono San Paolo, Agostino e Lutero.
Auguro a tutti di gustarsi questa sera e domani sera lo sceneggiato su Sant'Agostino, con la convinzione che si tratta di un'opera da non perdere in quanto questo grande Santo ha veramente segnato il corso della storia umana e di tutto il pensiero occidentale fino ai giorni nostri.
Scritto da Riccardo Rinaldi

lunedì 25 gennaio 2010

UN AUTORE LA CUI LIBERALITA' E' POCO CONOSCIUTA

Di liberali Italiani che hanno fama internazionale non abbondiamo a parte il nostro Bruno Leoni.
Ma a saperlo ben leggere ci si accorge che Vilfredo Pareto nato e vissuto a cavallo dell'ottocento e novecento mostra scorci di pensiero liberale interessanti e degni di rivalutazione postuma.
Con piacere riporto qui alcune pagine Paretiane che erano sfuggite alle Letture Liberali da noi affrontate tra il 2008 e il 2009 e che forse valeva la pena non avessimo tralasciato (Riccardo Rinaldi).

“Le diverse classi economiche hanno degli interessi diversi. Ciò risulta dalla natura stessa delle cose. E’ ben evidente che un semplice operaio non ha gli stessi interessi economici di un grande proprietario terriero o del possessore d’un grande patrimonio mobiliare. In fatto di imposte ogni classe cerca di riversarne quanto più possibile il peso sulle altre. In fatto di spese pubbliche ogni classe cerca che sieno effettuate a proprio favore.
I socialisti hanno dunque interamente ragione nell’attribuire una grande importanza alla lotta delle classi e di affermare che è questo il gran fatto che domina la storia. Da tal punto di vista le opere di K. Marx e del Loria sono degne della più grande attenzione.
La lotta delle classi assume due forme note in tutti i tempi. L’una non è altro che la concorrenza economica. Abbiamo visto che quando è libera, questa concorrenza produce il massimo di ofelimità. Ogni classe, come ogni individuo, pur non avendo di mira che il proprio vantaggio, viene indirettamente ad essere utile alle altre. Ancor più. Poiché non distrugge, ma produce ricchezza, questa concorrenza contribuisce indirettamente a fare aumentare il livello del reddito minimo e a diminuire la disuguaglianza dei redditi.
L’altra forma della lotta delle classi è quella, per cui ogni classe si sforza d’impossessarsi del governo per farne una macchina con cui spogliare le altre. La lotta che intraprendono certi individui per appropriarsi la ricchezza prodotta da altri è il gran fatto che domina tutta la storia dell’umanità. Si cela e si asconde con i pretesti più vari, che hanno spesso tratto in inganno gli storici. Si può perfino dire che è soltanto nella nostra epoca che la verità è affiorata.
La classe dominante non si limita semplicemente a recare un danno diretto alle classi ch’essa spoglia; reca danno pure a tutta quanta la nazione: poiché la spogliazione è di solito accompagnata da una distribuzione di ricchezza, spesso assai considerevole, il reddito minimo deve abbassarsi e la disuguaglianza dei redditi deve aumentare.
Dal punto di vista, poco importa che la classe dominante sia una oligarchia o una plutocrazia o una democrazia. Si può dire soltanto che, sebbene vi sieno delle eccezioni, quanto più questa classe è numerosa, tanto più intensi sono i mali che risultano dalla sua dominazione, perché una classe numerosa consuma una quantità di ricchezza maggiore di quella che consuma una classe più circoscritta. E’ questa probabilmente la causa che fa sì che il regime demagogico abbia sempre avuto una durata ben minore dei regimi tirannici ed oligarchici. Sarà questo probabilmente pure il grande ostacolo che si opporrà all’instaurazione del socialismo del popolo. Il socialismo borghese, che si esplica per mezzo della protezione doganale, dei premi di esportazione e della falsificazione della moneta, ecc. ha, a proprio favore, la circostanza che ha un minor numero di aderenti da soddisfare. Ha dunque modo di arricchirli senza distruggere interamente la ricchezza del paese.
Parecchi autori confondono due questioni assolutamente diverse: quella della esistenza d’una classe dominante e quella del modo con cui se ne reclutano i membri. A questi autori pare che, quando la classe dominata ha il diritto di scegliere secondo un certo modo di elezione i suoi padroni, non ha più nulla da desiderare e deve reputarsi perfettamente felice e fortunata. Non passa loro in mente che sarebbe forse più utile evitare qualsiasi spogliazione anziché limitarsi a determinare a profitto di chi la spogliazione dovrà essere esercitata.
E’ certo che, quando i membri della classe dominante sono reclutati per eredità o per cooptazione, il giogo ch’essa esercita è più odioso di quanto accada quando i membri sono reclutati per elezione, ma non ne segue affatto che tale giogo risulti anche più grave. Non è dimostrato per nulla che un governo oligarchico avrebbe potuto essere più disonesto di quanto lo fu la municipalità di New York eletta col suffragio universale. Il popolo della Toscana era più felice e meno spogliato sotto il governo assoluto di Pietro Leopoldo di quanto lo sia ora sotto l’attuale governo costituzionale. Nella nostra epoca le elezioni hanno, nella maggior parte dei paesi, una parte più o meno preponderante nella scelta della classe governante, ma non è questo un fatto nuovo nella storia. A Roma, verso la fine della repubblica, erano ben le elezioni che attribuivano il potere, ma le scelte che venivano così effettuate eran tanto deplorevoli, l’oppressione così grande, che ai più il dispotismo militare apparve un male minore e che, in un certo senso, Cesare e Augusto furono effettivamente dei benefattori della classe dominata. Non intendiamo già decidere con ciò quale sia la forma di governo che debba essere preferita, chè quella stessa forma di governo, che, in un dato istante, risulta inferiore ad un’altra, può contenere in sé dei germi di riforma, che verranno a renderla superiore in avvenire; quanto vogliamo affermare è che la forma non deve aver la prevalenza sulla sostanza e che, mutando i nomi con cui si decora la spogliazione, non si muta per nulla la quantità di ricchezza ch’essa distrugge.
Qualsiasi uomo può avvertire i mali della società in cui vive, ma solo ricerche scientifiche, spesso estremamente difficili, possono rivelarcene le vere cause. Gli uomini che le ignorano se ne foggiano spesso delle immaginarie. Sono soprattutto portati, in modo quasi invincibile, a semplificare enormemente il problema per evitare la fatica di uno studio sintetico. E’ ad un uomo, ad una legge, ad una istituzione ch’essi attribuiranno esclusivamente tutti i mali che sarà loro dato di osservare nella società. Sistemi tanto esclusivi quanto erronei attraggono di volta in volta il favore del pubblico. Non è remoto il tempo in cui il regime costituzionale era considerato come una panacea universale; ai nostri giorni parecchi autori ne han fatto il capro espiatorio di tutti i peccati degli uomini politici. All’inizio di questo secolo si diceva che l’istruzione elementare era il solo mezzo di rendere morale il popolo; vi è ora chi pretende che tale istruzione abbia fatto aumentare il numero dei delinquenti. Discussioni di tal genere sono necessariamente infeconde. Fino a che ci si ostinerà a cercare una causa unica per spiegare fenomeni estremamente complessi e svariati, è certo che si seguirà una via sbagliata. Il progresso scientifico è indissolubilmente legato a una concezione sintetica dei fenomeni sociali e della loro mutua dipendenza.
Poiché le classi ricche hanno molto spesso spogliato le classi povere si è voluto concluderne che il possesso dei capitali mobiliari e dei capitali fondiari costituisce la causa della spogliazione e che solo il collettivismo potrebbe recar rimedio ai mali della società.
In simili ragionamenti vi è un errore radicale, che già abbiamo avuto spesso occasione di notare. Sta nell’attribuire al capitale o alla ricchezza (il risparmio) degli effetti, a cui tali cose sono estranee. Non è già il semplice possesso del risparmio che pone certi uomini in grado di spogliarne altri; è l’uso ch’essi fanno di tale risparmio, valendosene, ad esempio, per rendersi amici i poteri pubblici, in luogo di trasformarlo in capitale nel senso economico dell’espressione. Ben lungi dal discorrere dell’oppressione del capitale, si deve quindi riconoscere che è precisamente quando non si trasforma in capitale che il risparmio può essere usato in modo nocivo per la società.
La ricchezza, al pari del fine a cui mira la spogliazione, è certo un mezzo che consente di esercitare la spogliazione stessa. Ma ciò non potrebbe bastare a condannare l’appropriazione dei beni economici, chè, altrimenti, dal fatto che il ferro serve agli assassini ed ai ladri, si dovrebbe concludere che questo metallo è nocivo alla razza umana e perché le navi servono ai pirati si dovrebbe rinunciare alla navigazione. Del resto, la potenza degli spogliatori non è basata soltanto sulla ricchezza (risparmio); essi si valgono di ben altri mezzi e fanno abilmente ricorso alle cose più rispettabili e più utili, di per sé, all’umanità. Poiché il mantenimento dell’ordine e della sicurezza costituisce il bisogno più urgente delle società, gli spogliatori se ne sono valsi, e se ne valgono, correntemente di pretesto per assicurare il successo delle loro operazioni. Si è pure tentato di porre la spogliazione sotto la sanzione della religione e della morale. Agli occhi della classe dominante, le azioni più abominevoli sono quelle che possono scuotere il suo potere ed essa perviene talvolta a far condividere tale idea dagli stessi sudditi suoi dominati. Dopo la morale, la cosa più indispensabile agli uomini è la giustizia; la classe dominante ha pure sempre tentato di farla servire ai suoi fini. La sola idea di magistrati assolutamente indipendenti le ripugna: istintivamente avverte che li deve asservire per porre su di una solida base il potere che detiene. E’ questo, in fondo il vero motivo del movimento che si manifesta ora contro la giuria. Non già che questa istituzione non abbia pure dei sinceri avversari, che la giudicano unicamente dal punto di vista oggettivo, ma costoro non riflettono a sufficienza che essa costituisce ancora la sola istituzione che, nonostante i suoi difetti, dia agli accusati, che non sono in buoni rapporti con la classe dominante, qualche probabilità di cavarsela. E’ questo, precisamente, il motivo dell’avversione che gli uomini politici hanno per la giuria: il motivo, che li induce ad avversarla, non differisce per nulla da quello che induceva i cavalieri romani ad impadronirsi del potere giudiziario. Persone onestissime si lasciano convincere dagli ingegnosi pretesti, che in questi casi non mancano mai e, tratti in inganno dal falso principio che il fine giustifica i mezzi, credono di servire la causa dell’ordine e della giustizia, mentre a tale causa apportano i colpi più rudi.
L’abuso, che si fa di cose di per sé perfettamente rispettabili ed eminentemente utili, genera dottrine erronee, che, al fine di evitare l’abuso, vogliono eliminare l’uso. Il comunismo, il collettivismo, il protezionismo, il socialismo di Stato o della cattedra, il socialismo borghese (nei limiti in cui è in buona fede), le teorie neo-aristocratiche di Nietzsche, l’antisemitismo, il nichilismo, l’anarchia sono propaggini di un medesimo seme: procedono direttamente da un’osservazione incompleta delle leggi della scienza sociale e spesso anche dalla passione che prende il posto della ragione.
In tutti i tempi gli uomini hanno attribuito i loro mali, purtroppo più che reali, a cause immaginarie. Nell’antica Roma è spesso risuonato il grido : -i cristiani alle belve- Nelle città del medio evo si è spesso sentito gridare –morte ai lombardi- Ora si vorrebbe ripetere –abbasso gli ebrei- Si tratta di rivolte incoscienti, che non hanno maggior ragione d’essere dell’atto del bambino che colpisce l’oggetto inanimato contro cui è andato a sbattere. Ad un grado intellettualmente un po’ più elevato, questi sentimenti di disagio e di odio nei confronti di certi abusi, si manifestano sotto forma di sistemi e di teorie. I proprietari di beni fondiari, impadroniti che si furono dello Stato, hanno fatto pesare sui loro connazionali un giogo gravoso. Si deve abolire la proprietà fondiaria e rendere comuni le terre. Certi proprietari di risparmio, in luogo di trasformarlo in capitale, se ne sono valsi per opprimere il paese. Si deve abolire la proprietà del risparmio. Degli imprenditori, in luogo di ricercare, secondo quella che è la funzione loro propria, i metodi migliori di produzione, si son fatti accordare dai poteri pubblici dei privilegi. Si debbono abolire gli imprenditori e alla sola collettività va consentito il possesso dei mezzi di produzione, dei capitali fondiari cioè e dei capitali mobiliari. I socialisti si fermano a questo punto, ma, come fa loro assai bene osservare Pietro Krapotkin, non sono logici; gli anarchici, che non si vogliono fermare a mezza strada, continuano imperturbabilmente a dedurre le conseguenze che discendono dalle premesse di cui i collettivisti si sono valsi. –Dal giorno- essi dicono –in cui si colpirà la proprietà privata in una o l’altra delle sue forme, fondiaria o industriale, si sarà costretti a colpirla pure in tutte le sue altre forme-. Poiché l’organizzazione della giustizia è servita a coprire dei misfatti, dobbiamo abolirla del tutto. Famiglia, governo, morale, tutto dev’essere eliminato per gli interessi motivi. A loro volta, però, gli anarchici sono ben costretti, essi pure, ad arrestarsi ad un certo punto, chè, se si volesse spingere questa singolare teoria fino alle sue ultime conseguenze, bisognerebbe lasciarsi morir di fame, poiché, se se ne abusa, gli stessi alimenti possono generare ogni specie di malanni.
Spesso una teoria esagerata in un senso ne fa sorgere un’altra, esagerata in senso opposto. Certi socialisti predicando l’uguaglianza assoluta, fisica e intellettuale, degli uomini, giungono al punto di voler irretire in lavori manuali senza importanza, e che non presentano alcuna difficoltà, le facoltà eccezionalmente rare e preziose dei maggiori scienziati. I neo-aristocratici, senza star molto a lambiccarsi il cervello, hanno enunciato semplicemente una dottrina esattamente contraria a quella dei socialisti. A loro dire, l’umanità intera non esiste che per produrre alcuni uomini superiori; non è che un letamaio sul quale crescono alcuni fiori.
Ciascuna di tali sette ha, naturalmente, un qualche sistema economico da propugnare. Sistema, che non ha con la realtà altri rapporti fuor di quelli che si riscontrano nei sistemi cosmogonici degli antichi.
A quest’analisi assolutamente incompleta la scienza sostituisce uno studio ampio e comprensivo, che non si limita allo studio qualitativo dei fatti, ma assurge allo studio quantitativo. A delle astrazioni senza fondamento essa sostituisce delle realtà ed elimina vaghe aspirazioni senza consistenza sostituendo loro lo studio rigoroso dei rapporti necessari alle cose.
Al di sopra, ben al di sopra, dei pregiudizi e delle passioni dell’uomo planano le leggi della natura. Eterne, immutabili, sono l’espressione della potenza creatrice: rappresentano quel che è, quel che deve essere, quel che non potrebbe essere altrimenti. L’uomo può pervenire a conoscerle; non a mutarle. Dagli infinitamente grandi agli infinitamente piccoli, tutto vi è soggetto. I soli e i pianeti seguono le leggi scoperte dal genio di un Newton e di un Laplace, precisamente come gli atomi seguono, nelle loro combinazioni, le leggi della chimica e gli esseri viventi le leggi della biologia. E’ solo l’imperfezione dello spirito umano che moltiplica le divisioni delle scienze, che separa l’astronomia dalla fisica o dalla chimica, le scienze naturali dalle scienze sociali. Nella sua essenza, la scienza è una; non è altro che la verità.”

mercoledì 20 gennaio 2010

IL CATTOLICESIMO LIBERALE 2

Questo tema, introdotto da Claudio Ferretti ai primi di gennaio è sempre stato uno dei più ostici per tutti coloro che tentano di conciliare la fede cattolica con la fede liberale.
Ho usato in entrambi i casi il termine fede che sembra un minimo comune denominatore adatto a porre le due cose sullo stesso piano.
Ma così non è, e per quanto io abbia pensato a lungo alla materia, alla fine mi sono convinto che le due fedi operano su due livelli distinti.
La prima su quello religioso e la seconda su quello naturale.
Sono due mondi separati, l'uno trascendente, l'altro immanente e vano si rivela ogni tentativo di farli incontrare su basi comuni.
Come conseguenza si ha che ogni onesto ricercatore dei punti di convergenza (o di divergenza) debba accontentarsi di studiare quali aspetti, delle due fedi, pur operando su piani diversi, mostrino connotati comuni, o almeno dimostrino di vibrare in sintonia.
Tra i tanti temi che possono essere studiati, ne scelgo uno che sembra, ad una prima evidenza essere il più discordante.
Il pensiero liberale, fin dalle sue origini ha dichiarato che gli uomini sono diversi tra loro e che proprio nella loro diversità si annida lo strumento per farli interagire, in modo scambievolmente conveniente, e raccogliere i prodotti di tale rapporto che vanno a distribuirsi profittevolmente per tutti.
Dalla accettazione della diversità degli uomini, seppure mitigata dalla convinzione della necessità di offrire a tutti pari opportunità, ne discende l'accettazione, tutta liberale, della proprietà privata come elemento che rende compiuta la diversità umana.
In altre parole, dal fatto che ciascuno è portatore di proprie caratteristiche distintive deriva che le proprietà, conquistate in forza dell'operare con successo proprozionale a dette qualità, sono una parte identificativa della sua personalità, in fin dei conti quindi della sua persona.
E' inutile fare qui una cronistoria di come il pensiero liberale ha sedimentato questo concetto, risalente ai fondamentali filosofici via via elaborati dai pensatori sociali, economici e politici che si sono succeduti fino ai giorni nostri.
All'inizio si è partiti dalla tesi dell'incontro degli egoismi individuali, per dimostrare il vantaggio che ne ricava l'intera società.
Ma qui va detto che la parola egoismi va intesa come diversa inclinazione del carattere la quale crea una diversa propensione a godere dei beni in forma e quantità diversa.
Alla radice comunque c'è la condivisione che questa diversità esiste e che gli uomini non nascono tutti buoni come voleva farci credere Rousseau e che essi venivano poi traviati dalla malvagità delle convenzioni sociali, per cui bastava correggere il bastone storto, per prendere in prestito la acuta definizione di Kant.
Noi liberali non vogliamo correggere nessuno, anzi vogliamo lasciare ciascuno libero di sperimentare, di sbagliare, di correggersi, di inciampare, di rialzarsi da soli, sempre però senza arrecare danni ad altri.
Ma puntiamo diritto al tema del titolo.
Tutto ciò è conforme al credo cattolico?
A prima vista sembra di no in quanto la Chiesa ha sempre cercato di correggere le diversità, seppure l'argomento sia sempre rimasto controverso.
Uno dei passi più belli ma anche più duri da comprendere del Nuovo Testamento è senz'altro la parabola dei talenti.
Non che non ci siano pagine ancora più ardue, ma questa non è da meno di altre.
Ebbene io affermo che se il Signore ci riconosce diversi talenti e pretende che ciascuno operi in modo da mettere a frutto anche quel poco talento che gli viene riconosciuto, allora anche il cattolicesimo ammette le differenze costituzionali e non pretende di correggerle ma di agire in modo da massimizzare sempre il proprio impegno a favore degli altri.
Ed è proprio quello che dice il pensiero liberale che vede nella varietà dell'impegno diffuso il segreto per cooperare al bene comune.
Certo, su un altro piano, il cattolicesimo sul piano dell'amore, il liberalismo sul piano del benessere sociale, ma come si vede la rotta all'orizzonte è la stessa, o almeno stessa è la direzione e il cammino.
Il Signore giunge a punire proprio colui che ha dotato di minor talento sol perchè non ha messo a frutto quel poco che aveva.
Non gli dice, sei stato un po' discolo, ma siccome hai avuto la sfortuna di avere in dote di meno degli altri ti perdono, non lo consola per la sua sfortuna, no è severo con lui come con chiunque non opera in ragione di quello di cui dispone.
Questa accettazione della diversità di natura da parte del Vangelo non è facile da comprendere ma ci aiuta, noi liberali a sperare che in fondo non siamo lontani dalla verità, almeno in via di principio.
Tutto ciò mi ha fatto sempre pensare che, in barba a quanto ne pensino molti, si può essere buoni cristiani e buoni liberali assieme, basta tenere distinti i due mondi.
Leggere continuamente il Nuovo Testamento, ti fa scoprire particolari che in altri momenti della vita ti erano scivolati via ed ora ti entrano diritti dentro il cuore.
Il nostro antistatalismo promuove l'azione volontaria e solo noi veri liberali siamo in grado di accorgerci come invece la presenza pervasiva dello Stato ha come effetto quello di annichilire le nostre buone intenzioni.
Per queste e molte altre riflessioni una società liberale in questo mondo è coerente con la crescita del mondo che è nei cieli.
Non rivendichiamo migliori titoli di altri ad essere migliori cristiani, ma ci accontentiamo di rivendicare una consonanza che ci rasserena e ci mette in pace con tutti, credenti e non credenti. Scritto da Riccardo Rinaldi

sabato 16 gennaio 2010

L'ultimo discorso di Craxi alla Camera e lo Stato di Diritto

Ritengo che sia utile riportare l’ultimo discorso di Bettino Craxi alla Camera dei Deputati. Discorso molto importante per inquadrare bene la questione culturale italiana. Mi permetto di esprimere solo queste brevi considerazioni: Craxi riconosceva che il sistema dei partiti aveva operato non rispettando le leggi che esso stesso si era dato e che il fenomeno della corruzione aveva portato livelli di degrado insopportabili nella vita pubblica. Denunciava che l’industria aveva beneficiato del sistema descritto attraverso varie sovvenzioni, e che altri organi dello Stato, in particolare la magistratura, nel tentativo di perseguire i fatti illeciti reali, operavano loro volta senza rispettare le leggi alle quali avrebbero dovuto attenersi. Quasi tutti i partiti furono toccati da “tangentopoli” con la sola esclusione di quelli che non avevano mai avuto incarichi di governo nazionale o nelle amministrazioni locali (in pratica i Radicali di Pannella e l’MSI). Una domanda non retorica: Rispetto a quanto denunciava Craxi è cambiato qualcosa? Esiste oggi in italia "the Rule of Law"? Si sa in italia cosa è lo Stato di Diritto, cosa è il diritto e cosa è un diritto? (di Claudio Ferretti)



Discorso alla Camera dei Deputati del 29 Aprile 1993 - Di Bettino Craxi
"Circa dieci mesi or sono prendendo la parola di fronte alla Camera dissi con franchezza cio' che un ex Presidente della Repubblica defini' poi come l'apertura di quella "grande confessione" verso la quale avrebbe dovuto e dovrebbe aprirsi, con tutta la sincerità necessaria, tutto o gran parte almeno del mondo politico. I giudici che mi accusano l'hanno considerata invece come una "confessione extragiudiziale" elevandola subito e senz'altro a prova di primo grado contro di me. Quella per la verità era ed è rimasta la sola prova di quell'accusa. Sempre che una dichiarazione una analisi ed una riflessione fatte di fronte al Parlamento possano essere considerate alla stregua di una prova penale. Ricordo che, ancor prima di allora, commentando a caldo le prime esplosioni scandalistiche milanesi che aprivano il libro dagli inesauribili capitoli apertosi poi un po' dovunque, mi ero permesso semplicemente di dire :"Su quanto sta accadendo la classe politica ha di che riflettere". Questa affermazione fu allora maltrattata come espressione di un atteggiamento intimidatorio, provocatorio, financo ricattatorio. In realtà non era difficile avvertire gia' da allora tutta la dimensione del problema che si era aperto, tutta la sua gravità e la sua complessità. Non era difficile cogliere la inutilità e l'errore di una difesa e di una giustificazione che non fossero improntate al linguaggio della verità. Per le responsabilità che mi competevano, per il ruolo che, per lungo tempo, avevo esercitato, di Segretario nazionale del Partito Socialista, io non ho negato la realtà, non ho minimizzato, non ho sottovalutato il significato morale, politico, istituzionale della questione che veniva clamorosamente alla luce riguardante il finanziamento irregolare ed illegale ai partiti ed alle attività politiche ed anche il vasto intreccio degenerativo che ad esso si collegava o poteva, anche a nostra insaputa, essersi collegato. Come si ricorderà ne parlai proprio di fronte a voi seguendo una traccia che stamane mi consentirete di riprendere.
Osservavo nel Luglio del '92: "C'è un problema di moralizzazione della vita pubblica che deve essere affrontato con serietà e con rigore, senza infingimenti, ipocrisie, ingiustizie, processi sommari e grida spagnolesche. E' tornato alla ribalta, in modo devastante, il problema del finanziamento dei Partiti, meglio del finanziamento del sistema politico nel suo complesso, delle sue degenerazioni, degli abusi che si compiono in suo nome, delle illegalita' che si verificano da tempo, forse da tempo immemorabile. Bisogna innanzitutto dire la verita' delle cose e non nascondersi dietro nobili e altisonanti parole di circostanza che molto spesso e in certi casi hanno tutto il sapore della menzogna.
Si è diffusa nel paese, nella vita delle istituzioni e della pubblica amministrazione, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica, uno stato di cose che suscita la piu' viva indignazione, leggittimando un vero e proprio allarme sociale, ponendo l'urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidita' e con efficacia.

I casi sono della piu' diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralita' e di asocialita'.

Purtroppo anche nella vita dei Partiti molto spesso e' difficile individuare, prevenire, tagliare aree infette sia per la impossibilita' oggettiva di un controllo adeguato, sia talvolta, per l'esistenza ed il prevalere di logiche perverse. E cosi' all'ombra di un finanziamento irregolare ai Partiti e, ripeto, al sistema politico, fioriscono e si intrecciano casi di corruzione e di concussione, che come tali vanno definiti trattati provati e giudicati. E tuttavia, d'altra parte, cio' che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, e' che buona parte del finanziamento politico e' irregolare od illegale. I Partiti specie quelli che contano su apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attivita' propagandistiche, promozionali e associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e ricorrono all'uso di risorse aggiuntive in forma irregolare od illegale. Se gran parte di questa materia deve essere considerata materia puramente criminale allora gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale.
Non credo che ci sia nessuno in quest'aula, responsabile politico di organizzazioni importanti che possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo: presto o tardi i fatti si incaricherebbero di dichiararlo spergiuro". E del resto, andando alla ricerca dei fatti, si è dimostrato e si dimostrerà che tante sorprese non sono in realtà mai state tali. Per esempio, nella materia tanto scottante dei finanziamenti dall'estero sarebbe solo il caso di ripetere l'arcinoto "tutti sapevano e nessuno parlava". Ed osservavo ancora:"Un finanziamento irregolare ed illegale al sistema politico, per quante reazioni e giudizi negativi possa comportare e per quante degenerazioni possa aver generato non e' e non puo' essere considerato ed utilizzato da nessuno come un esplosivo per far saltare un sistema, per delegittimare una classe politica, per creare un clima nel quale di certo non possono nascere ne' le correzioni che si impongono ne' un'opera di risanamento efficace ma solo la disgragazione e l'avventura. A questa situazione va ora posto un rimedio, anzi piu' di un rimedio". Mi spiace che tutto questo sia stato, allora, sottovalutato. Tante verità negate o sottaciute sono venute una dopo l'altra a galla e tante ne verranno, ne possono e ne dovranno venire ancora. E mentre molti si considerano tuttora al riparo dietro una regola di reticenza e di menzogna, non si è posto mano a nessun rimedio ragionevole e costruttivo. Questo deve valere anche per i Partiti che se debbono continuare ad esistere come elementi attivi della democrazia italiana ed europea sia pure in un diverso ruolo ed in diverse configurazioni, debbono essere posti di fronte a nuove regole impegnative ed utili a rinnovare e a far rifiorire la loro essenza associativa e democratica.
Si e' invece fatto strada con la forza di una valanga un processo di criminalizzazione dei partiti e della classe politica. Un processo spesso generalizzato ed indiscriminato che ha investito in particolare la classe politica ed i partiti di governo anche se, per la parte che ha cominciato ad emergere, non ha risparmiato altri come era e come sara' prima o poi inevitabile. Era del tutto evidente che scavando e risalendo negli anni e persino nei decenni nella sfera delle forme di finanziamento illegale dell'attivita' politica, delle sue articolazioni, delle organizzazioni e competizioni elettorali, ogni giorno si sarebbe incontrato un episodio, un caso, uno scandalo. E così è stato. E così sarà. La lista delle indagini, delle investigazioni e poi delle controinvestigazioni, dei pentiti, dei pentiti a scoppio ritardato e dei contropentiti, delle rivelazioni vere o false, mirate o sapientemente mutilate, e dei rei-confessi per amore o per forza e' destinata a farsi interminabile. A queste si sono aggiunti fatti di corruzione personale che sono del tutto estranei alla responsabilità dei Partiti anche se pesano egualmente in tutta la loro gravità. Ma di tutte l'erbe s'e' fatto alla fine un fascio. Tutto si è ridotto ad una unica accusa generalizzata. Le campagne propagandistiche hanno ruotato sovente solo attorno a slogans ed a brutali semplificazioni. Di questo si è incaricata infatti parte almeno della stampa e dell'informazione, andando ben al di là dei diritti e dei doveri propri dell'informazione, deformando spesso oltre misura, esaltando le ragioni dell'accusa e mettendo di canto quelle della difesa, travolgendo senza alcun rispetto diritti costituzionalmente garantiti con difese divenute praticamente impossibili, creando sovente un clima infame che ha distrutto persone, famiglie e generato tragedie. La criminalizzazione della classe politica, giunta ormai al suo apice, si spinge verso le accuse piu' estreme, formula accuse per i crimini piu' gravi, piu' infamanti e piu' socialmente pericolosi. Un processo che quasi non sembra riguardare piu' le singole persone, ma insieme ad esse tutto un tratto di storia, marchiato nel suo insieme. Un vero e proprio processo storico e politico ai Partiti che per lungo tempo hanno governato il Paese.
Mi chiedo come e quando tutto questo si concili con la verita', che rapporto abbia con la verita' storica, con gli avvenimenti e le fasi diverse e travagliate che abbiamo attraversato e nelle quali molti di noi hanno avuto responsabilita' politiche di governo di primo piano. Davvero siamo stati protagonisti, testimoni o complici di un dominio criminale? Davvero la politica e le maggioranze politiche si sono imposte ai cittadini attraverso l'attuazione ed il sostegno di disegni criminosi? Davvero gli anni ottanta di cui soprattutto si parla, senza risparmiare i precedenti, sono stati gli anni bui della regressione, della repressione, della malavita politica che scrivono e cantano in prima fila tanti reduci dell'eversione, delle rivoluzioni mancate, delle rotture traumatiche che sono state contrastate ed impedite? Questa non e' altro che una lettura falsa, rovesciata mistificata della realta' e della storia. Chi ha condotto per anni una opposizione democratica ha da far valere in ben altro modo tutte le sue ragioni.
Per parte mia, io non dimentico che negli anni Ottanta l'Italia ha rimontato la china della regressione, della stagnazione e dell'inflazione, è uscita dalla crisi economica e produttiva per entrare in un ciclo di espansione e di sviluppo senza precedenti toccando le punte di sviluppo piu' alte tra i paesi dell'Europa industrializzata. Si è trattato di un progresso forte, intenso, diffuso, che ha ridotto tante disuguaglianze e che poneva le basi per ridurne tante altre che ancora dividevano e dividono la nostra societa'. Sono gli anni in cui viene posto fine al capitolo dell'eversione militare, del terrorismo e delle sue code sanguinose. Sono anche gli anni di un nuovo prestigio internazionale, con l'Europa comunitaria che si amplia e si consolida e con l'Italia che entra a far parte del club economico ma anche politico delle maggiori Nazioni industrializzate del mondo occidentale. Tutti i cicli, come è naturale passano, entrano in contraddizione, si esauriscono, degenerano. Sono cosi' subentrati gli anni delle difficolta' e della crisi, che stiamo ancora attraversando. Ma gli effetti e le conseguente di un periodo critico sarebbero stati ben diversi e ben piu' onerosi se non avessimo avuto alle spalle il solido sviluppo realizzato nel corso degli anni ottanta ed un retroterra conquistato con un balzo in avanti poderoso.
I finanziamenti illegali ai partiti ed alle attività politiche non sono stati tuttavia una invenzione e una creazione degli anni ottanta. Hanno radici, come si sa, ben piu' antiche e ben ripartite tra le forze che si contrapponevano, in lotta tra loro, e sovente senza esclusione di colpi. Cosi' come nella vita della societa' italiana non e' nata negli anni ottanta la corruzione nella pubblica amministrazione e nella vita pubblica. La vicenda dei finanziamenti alla politica, dei loro aspetti illegali, dei finanziamenti provenienti attraverso le vie piu' disparate dell'estero, della ricerca di risorse aggiuntive rispetto poi ad una legge sul finanziamento pubblico ipocrita e ipocritamente accettata e generalmente non rispettata, accompagna la storia della societa' politica italiana, dei suoi aspri conflitti, delle sue contraddizioni e delle sue ombre, dal dopoguerra sino ad oggi. Non c'e' dubbio che un troppo prolungato esercizio del potere da parte delle piu' o meno medesime coalizioni di Partiti ha finito con il creare per loro un terreno piu' facilmente praticabile per abusi e distorsioni che si sono verificate. Ma onestà e verità vorrebbero che in luogo di un processo falsato, forzato, ed esasperato, condotto prevalentemente in una direzione, si desse il via ad una ricostruzione per quanto possibile obiettiva ed appropriata di tutto l'insieme di cio' che è accaduto. Si tratta di una realta' che non si puo' dividere in due come una mela, tra buoni e cattivi, gli uni appena sfiorati dal sospetto, gli altri responsabili di ogni sorta di errori e nefandezze. Trovo perlomeno singolare che sia stata liquidata con poche battute di circostanza, qualche pretesto e qualche falsa riverenza la proposta di una inchiesta parlamentare che abbracciasse l'arco di almeno un quindicennio della nostra storia politica. Il Parlamento avrebbe il dovere di farlo avendo esso stesso nella sua storia una montagna di dichiarazioni di bilanci di Partiti certamente falsi, di organi di controllo che non hanno controllato, di revisori che non hanno rivisto. Che tutto questo avvenisse senza l'insorgere di clamorose contestazioni e denunce e senza clamorosi conflitti, salvo casi sporadici ed aspetti particolari, significa che il sistema in funzione e le sue irregolarita' non solo erano in principio riconosciute, ma erano consensualmente accettate e condivise, almeno dai piu'. E' d'altro canto un sistema cui hanno partecipato e concorso, in forme varie e diverse, tutti i maggiori gruppi industriali del paese, privati e pubblici. Gruppi e società importanti nel loro settore e nella economia nazionale e in molti casi presenti e influenti anche sui mercati internazionali, gruppi potenti in grado di influire e di condizionare i poteri della politica e dello Stato.
Di questi tutto si puo' dire salvo che siano state vittime di una prepotenza, di una imposizione, di un sistema vessatorio ed oppressivo di cui non vedevano l'ora di liberarsi. Si tratta di tutti i maggiori gruppi del paese, quelli che sono stati chiamati in causa e quelli che ancora possono esservi chiamati, anch'essi fornitori dello stato, tributari dello stato di sostegno di varia natura, tributari di appalti pubblici, esportatori, proprietari di catene giornalistiche, speculatori a vario titolo, se la verità, anche per loro, come c'e' da augurarsi, finira' prima o poi per farsi strada. Si tratta di condotte illegali del mondo imprenditoriale attuate con piena consapevolezza e responsabilità e con finalità di molteplice natura, di ordine economico aziendale commerciale ed anche di ordine pubblico a sostegno di un sistema, dei suoi diversi equilibri, della sua stabilita' complessiva, ed anche a sostegno piu' diretto di singoli membri di un personale politico con il quale mantenere rapporti amichevoli piu' impegnativi.
Illegalità nel mondo politico, illegalità nel mondo imprenditoriale. Ad esse si sono venute aggiungendo illegalita' nel mondo giudiziario. Una inchiesta giudiziaria è tanto piu' forte, accettata, rispettata, quanto piu' forte, rigoroso, lineare e' il rispetto della legge ch'essa si impone, senza prevaricazioni, arbitri, forzature ed eccessi di sorta. Si e' verificato purtroppo, e in piu' casi e ripetutamente tutto il contrario. Non c'e' fine che possa giustificare il ricorso a mezzi illegali, a violazioni sistematiche, clamorose e persino esaltate della legge, dei diritti dei cittadini, dei diritti umani. Non c'è consenso popolare, sostegno politico, campagna di stampa che possa giustificare un qualsiasi distacco dai principi garantiti dalla Costituzione e fissati dalla legge. Non la giustifica neppure l'assenza, l'insensibilità o il ritardo degli organi di controllo, la debolezza o il disorientamento delle difese, la barriera del pregiudizio negativo. Non lo ha visto e non lo vede, del resto, solo chi non lo vuole e preferisce, per opportunità, per superficialità o per calcolo voltare la testa dall'altra parte. Chi non ha visto le forzature macroscopiche e strumentali nella interpretazione delle leggi per giungere ad usare impropriamente i poteri giudiziari? Sin da quattro secoli in Inghilterra era stato scritto nel Leviatano "Se il giudice usa con arroganza il potere di interpretare le leggi, tutto diventa arbitrio imprevedibile. Di fronte ad un metodo del genere ogni sicurezza viene meno". Chi non ha visto gli arresti illegali, facili, collettivi, spettacolari e financo capricciosi, di fronte ad una civilta' del diritto e ad una normativa di legge che anche nel nostro paese considerava l'arresto una "extrema-ratio". Chi non ha visto le detenzioni illegali che fanno impallidire la civilta' dell'Habeas Corpus. Le detenzioni a scopo di confessione che sono tutto il contrario di cio' che e' riconosciuto ed accettato. Chi non ha visto le perquisizioni a scoppio ritardato, quelle in particolare delle sedi di Partito manifestatamente inutili ma utili, per la messinscena predisposta e per lo spettacolo denigratorio assicurato.
Sono all'ordine del giorno del resto le sistematiche violazioni del segreto istruttorio, ormai praticamente vanificato e inesistente o esistente solo in ragione di criteri discriminatori o criteri arbitrari dettati da interessi ed opportunita' di varia natura ivi comprese quelle politiche. C'è forse qualcuno che non ha visto la esemplare tempistica politica di determinate operazioni? Quando la giustizia funziona ad orologeria politica essa contiene gia' in se qualcosa di aberrante. Purtroppo c'e' anche materia per scrivere un capitolo sui diritti umani, sulla loro mortificazione e sulle loro violazioni.
Affacciandosi, gia' mesi orsono, sulla realta' italiana, una missione internazionale composta di alti magistrati ed esponenti del Foro di Parigi, prudentemente, rispettosamente annotava in un suo primo rapporto :"I magistrati, incaricati delle inchieste sulla corruzione, applicano le disposizioni di legge relative alla detenzione preventiva in modo particolarmente 'estensivo'. Senza arrivare ad espressioni quali 'tortura' o 'inquisizioni' - pur usate da diverse personalita', non sembra si possa dubitare del fatto che la carcerazione preventiva sistematica di numerosi indiziati -molti dei quali presentano evidenti qualifiche di notorieta'- e che e' ufficialmente motivata dalla preoccupazione di un possibile 'inquinamento' delle prove, ha in realta' lo scopo di esercitare delle pressioni per ottenere confessioni di colpevolezza, o la denuncia di complici. Cio' che numerosi magistrati hanno ammesso pubblicamente sottolineando l'efficacia di tale metodo. Questa pratica, di carattere chiaramente repressivo appare in contraddizione sia con il disposto art. 275 del nuovo codice di procedura penale italiano che indica la detenzione preventiva come una misura coercitiva di natura eccezionale, sia con i testi internazionali esistenti in materia di tutela dei diritti dell'uomo". Nello stesso rapporto si legge che "Gli eccessi constatati nell'applicazione del codice di procedura penale nell'ambito delle inchieste in materia di corruzione sono ancora piu' preoccupanti perche' a tutt'oggi sembrano sottratti a qualsiasi tipo di controllo. In effetti la maggior parte dei ricorsi al Tribunale delle Libertà sono stati rigettati. L'opinione pubblica italiana che è molto favorevole alla repressione delle tangenti esercita sulla magistratura una notevole pressione, alla quale quest'ultima non è insensibile, e che raggiunge il risultato di rendere alcuni magistrati incaricati delle inchieste dei personaggi protagonisti al riparo da qualsiasi 'critica pubblica'". La stessa delegazione della "Federation Internationale des Droits de l'Homme" ancora osserva :"Il compito di 'purificatore' che taluni magistrati si attribuiscono e che essi pubblicamente proclamano, solleva problemi delicati nel rapporto tra potere giudiziario, potere esecutivo e potere legislativo; e non solo perche' molti politici sono oggetto della maggioranza dei procedimenti in corso, insieme ad industriali e uomini d'affare; ma per la distorsione di tali rapporti, che puo' andare oltre il caso specifico e determinare una preoccupante inclinatura dell'ordinamento democratico". Spiace doverlo dire ma le ripetute affermazioni di magistrati, talvolta solenni, talvolta sdegnate, che vogliono suonare come una proclamazione di indipendenza e di indifferenza rispetto alla politica, agli effetti politici, agli obiettivi politici, in molti troppi casi non convincono affatto e non possono convincere. Penso agli arresti alla vigilia della formazione di governi locali o dopo la loro formazione, alle retate di interi corpi amministrativi, alle operazioni di marca preelettorale, agli scoops in vista di precise scadenze politiche, alla disparita' di trattamento, che meriterebbero un approfondimento a parte, alle oculate selezioni, all'accanimento con il quale ci si e' mossi soprattutto in certe direzioni ma, allo stesso modo, non in altre. Un grande processo politico era preconizzato dagli ideologhi, magistrati e non, della rottura traumatica che sui loro giornali scrivevano :"Il sistema politico e' la culla piu' ospitale ed al tempo stesso la piu' formidabile difesa del crimine organizzato della violenza mafiosa e camorristica delle lobbies illegali". Leggiamo oggi una pubblicistica che si muove ad un passo financo dai testi della letteratura terroristica quando questa si scagliava contro il "regime politico-mafioso, DC-PSI", e contro "l'amerikano Craxi che si adopera per accelerare il processo di edificazione del SIM (Stato Imperialista delle Multinazionali)", contro il "gangster Craxi che si propone come baricentro dello scenario politico". Contro un demone di questa natura allora tutto era possibile, tutto giustificato, tutto lecito.
Puo' capitare nel corso della storia che la violenza nell'uso di un potere sia necessaria ed inevitabile ma e' necessario allora che essa sia chiamata con il suo nome, sia riconosciuta ed esaltata come tale e non mistificata e proclamata in nome delle leggi o degli ordinamenti in vigore. In questo caso sapremo senza possibilita' di equivoci di essere di fronte ad una nuova forza, ad una nuova legge e ad un nuovo potere. Una "rivoluzione": cosi' sono stati definiti e cosi' molti concepiscono gli avvenimenti di casa nostra. Puo' darsi. Pero' allora è bene essere consapevoli che una rivoluzione è di per se sempre una grande incognita ed una grande avventura, ma soprattutto che una rivoluzione senza un ceto organico di rivoluzionari e' destinata solo a distruggere ed a preparare un fallimento certo. C'è stata violenza nell'uso del potere giudiziario, nell'uso dei sempre piu' potenti mezzi di comunicazione, c'è stato un eccesso di violenza nella polemica politica, nella critica, nel linguaggio, nei comportamenti. E la violenza non puo' far altro che generare violenza, nei giudizi, nei sentimenti, nelle passioni, negli animi. In quale democrazia del mondo, a memoria del secolo, inchieste giudiziarie, ed il clima esasperato che attorno ad esse è stato creato, hanno potuto provocare tanti suicidi, tentati suicidi e morti improvvise. In quale Paese civile e libero del mondo si sono celebrati in piazza tanti processi sommari,si e' assistito a tanti pubblici linciaggi e si sono consacrate tante sentenze di condanna prima ancora che sia stato pronunciato un rinvio a giudizio? Tutto questo non puo' non far riflettere. Doveva far riflettere, mi auguro che faccia riflettere.
Non credo del resto che la moralizzazione della vita pubblica possa esaurirsi con la denuncia ed il superamento dei sistemi di finanziamento illegale dei Partiti e delle attività politiche e con la condanna di tutte le forme degenerative che ne sono derivate. Non credo che solo in questo consista la questione della corruzione della vita pubblica. Non credo che il procedere in modo violento con l'inevitabile inasprimento dei traumi e dei conflitti che ne scaturira' potra' aprire un periodo ordinato e rigoglioso nella vita democratica. Non credo che per queste vie li Paese si incamminerà verso un periodo di rinascita economica,di riequilibrio sociale,di un rinnovamento politico ed istituzionale all'insegna di un grande decentramento dei poteri, nel consolidamento dell'unita' della Nazione,e insieme di riconquista di un prestigio internazionale tanto piu' necessario quanto piu' aspre si vanno facendo la competizione e la conquista di aree di influenza nel mondo. C'e' un problema democratico di rinnovamento e di ricambio della classe politica dirigente, c'è un problema di alternanza di forze nelle responsabilità di guida e di governo. E' un problema che deve essere risolto democraticamente, nel modo piu' trasparente e diretto, senza provocare il soffocamento del pluralismo politico e senza fare ricorso alla barbarie della giustizia politica. Una politica che fosse intrisa di demagogia e di ipocrisia, non sarebbe destinata a fare lunga strada. Cosi' come non e' destinato a farla chi ancora oggi continua a non usare il linguaggio della verità, per non parlare di chi si presenta di fronte al paese con l'aria smemorata, con i tratti di chi non sapeva anche cio' che avrebbe dovuto inevitabilmente sapere, di chi ha vissuto sino a ieri in preda a superficiali distrazioni, di chi denuncia nomenklature, ignorando la propria di cui continua a portare tutti i caratteri, e dimenticando il proprio ruolo, la propria responsabilità, di chi addirittura giudica dall'alto delle sue frequentazioni malavitose.
Il 2 novembre dello scorso anno moriva improvvisamente Vincenzo Balzamo, deputato al Parlamento, Segretario Amministrativo nazionale del PSI. Dopo settimane di angosce e di tensioni un infarto ne aveva stroncato l'esistenza. Solo pochi giorni prima aveva ricevuto un avviso di garanzia per gravi reati. Da quel momento dopo la sua morte nel giudizio degli inquirenti vengo considerato una sorta di successore universale di tutte le condotte addebitate all'On. Balzamo e vengo investito da una raffica di avvisi di garanzia per concorso in fatti veri o presunti attribuiti ai responsabili dell'Amministrazione del PSI.
Purtroppo la scomparsa immatura dell'On.Balzamo lasciando un vuoto doloroso ci ha privato di un testimone essenziale e decisivo per tante vicende che costituiscono oggetto di indagine. Sta di fatto che fino alla sua morte gli inquirenti concludono con l'On.Balzamo il rapporto concorsuale nei reati che vengono individuati. Alla sua morte coprono con me il posto rimasto vuoto. In assenza di qualsiasi elemento probatorio che possa legarmi agli atti ritenuti criminalizzabili, la traslazione di condotte altrui sotto la responsabilità mia personale in forza della carica che rivestivo e del vantaggio economico che il Partito ne ha tratto, è un fatto del tutto arbitrario ed inammissibile nel diritto penalprocessualistico. Ammenoche', data la straordinarietà del mio caso, non sia stato sospeso, e soltanto nei miei confronti, il principio di diritto della responsabilita' personale, sancito dalla Costituzione. La verità è che sin dall'inizio si è mossa contro di me una azione ispirata da un intento persecutorio evidente che numerosi fatti, che emergono dalla semplice lettura degli atti, provano e confermano in modo chiaro ed inequivocabile. L'obiettivo "Craxi" era un obiettivo politico primario e per tentare di colpirlo si è agito con la piu' grande determinazione e talvolta anche con la piu' grande spregiudicatezza, violando ripetutamente la legge e le stesse prerogative della immunita' e della inviolabilita' del Parlamentare. Di fronte alla Camera la Giunta delle autorizzazioni a procedere ha recentemente dichiarato che cio' che bisogna accertare ai fini della concessione dell'autorizzazione a procedere è "l'esistenza anche di un ombra di volontà di persecuzione". L'esistenza del "fumus persecutionis" per un principio di diritto che non puo' essere ignorato e cancellato, risulta confermata ogni qualvolta il magistrato giunge a compiere atti di indagine preliminare a carico del deputato prima della informazione di garanzia e prima della concessa autorizzazione a procedere. Ebbene, nel "caso Craxi" i magistrati incaricati dell'indagine senza la spedizione delle informazioni di garanzia e senza la autorizzazione a procedere, hanno con insistenza, con accanimento crescente e anche, a piu' riprese, con sotteso atteggiamento di coartazione, richiesto e elencato elementi probatori da porre a base delle accuse contro di me, presupposte in un teoreme gia' elaborato e per un obiettivo già ben delineato. Tutto questo è avvenuto sistematicamente a partire dai primi atti dell'inchiesta. Ne è scaturita in questo modo una massa ingente di indagini che sono state svolte su di me, illegittimamente, attraverso interrogatori, perquisizioni, sequestri, accertamenti patrimoniali, deposizioni testimoniali, acquisizione di atti. Si è proceduto ad accertamenti trasversali per violare il divieto di indagine in mancanza di autorizzazione a procedere al fine di costruire una ipotesi accusatoria irrimediabilmente viziata perche' costruita dalla sommatoria di una notizia di reato artefatta e da dati di riscontro formati e selezionati per sorreggerla.
Scendendo solo per un attimo nel particolare ricordo che si è giunti persino a sequestrare il conto del mio ufficio di Milano, amministrato dalla mia segretaria che e' a tutt'oggi privata della libertà. I giornali ne diedero subito grande notizia e grande risalto gridarono nei titoli "Otto miliardi trovati sul conto della segretaria di Craxi". In realta' quel conto in quel momento era praticamente in rosso, gli otto miliardi riguardavano l'insieme dei movimenti che su quel conto erano stati fatti negli anni precedenti. Si trattava delle spese generali dell'ufficio, di rimborsi spese fatti a collaboratori, di contributi versati a Centri Culturali, Centri politici sociali ed assistenziali, di spese elettorali e personali. Entrate e spese documentabili e perfettamente legittime. Sta di fatto che in questo modo si e' andati a spulciare l'attività che era passata per quasi un decennio attraverso il mio ufficio di Milano e la sua amministrazione, nella perfetta consapevolezza che si trattava di attività politiche e personali risalenti alla responsabilità di un Parlamentare contro il quale non si poteva procedere. Del resto il "Lei conosce Craxi?","Quali rapporti ha avuto con Craxi?","Dica che ha versato a Craxi" e ancora "Quale ruolo aveva Craxi","Chi incontrava Craxi?" è una lunga litania che si è snodata a lungo ed insistentemente attraverso gli interrogatori, di indagati ed anche di testi scelti a bella posta tra le persone dichiaratamente e notoriamente ostili. Si è cosi' indagato su di me e sulla mia famiglia, sulle mie proprietà, e si è trovato modo di indagare sui miei figli e sui miei parenti.
Ma v'e' qualcosa di piu' e di ancor piu' grave. Contro il principio generale ed indiscusso, secondo cui la magistratura puo' indagare su di un cittadino solo in presenza di una notizia di reato che essa apprende direttamente ovvero attraverso denuncia, querela o informativa di polizia giudiziaria, con riferimento alla vicenda che mi riguarda, i pubblici ministeri milanesi hanno pervicacemente fatto ricerca di una pretesa notizia di reato sulla quale poter costruire il teorema evidentemente gia' prescelto. Siffatta metodologia di per se sola la dice lunga sul fumus persecutionis. Già insito nella costruzione di una accusa manifestamente infondata, esso è innegabile allorché, in un contesto minatorio,come quello legato a scarcerazioni anche immediate di chi si fosse reso disponibile a rendere le dichiarazioni desiderate dagli inquirenti,si riesca nel tentativo o semplicemente si tenti di selezionare le notizie di reato e di dotarle di un contenuto piuttosto che un altro. Se in tutto questo non è ravvisabile neppure "l'ombra" di un intento persecutorio allora diciamo pure che il fumus persecutionis è qualcosa di indefinibile,di inaccertabile,di inavvistabile e cioe' è un qualcosa che praticamente non esiste.Anche questo naturalmente lo si puo' decidere per ragioni politiche le piu' diverse,ma non per ragioni di verità e giustizia. Aggiungo che non saprei dire,almeno allo stato delle cose,che uso sia stato fatto,e se sia stato fatto,delle intercettazioni telefoniche e d'altri metodi d'ascolto.E' ben possibile che tutto sia perfettamente regolare.
Tuttavia non sono il solo ad aver avvertito la presenza come di una "mano invisibile", irresponsabile,illegale,che,come spesso avviene nelle situazioni confuse e traumatiche,si e' mossa e si muove allo scopo di intorbidire le acque e di rendere piu' agevole l'organizzazione e lo svolgimento di manovre di varia natura. Sta comunque di fatto che una "mano invisibile" in questi mesi trascorsi,simulando furti,ha provveduto a perquisire il mio ufficio, uffici di mia moglie, di mio figlio, locali della famiglia della mia segretaria , e, nella stessa notte, la casa dove abitava mia figlia a Milano ed il suo ufficio di Roma. Il "fumus persecutionis" ritorna ancora ben visibile quando l'indagine viene sistematicamente sottratta alla riservatezza ed al segreto istruttorio e consegnata,attivita' per attivita',e sempre con grande e singolarissima tempestività e con dovizia di particolari e di indiscrezioni di varia natura,all'informazione e alla stampa,dalla quale sono poi derivate molto spesso ed in molteplici casi deformazioni e distorsioni di portata e di genere vario e variopinto.Questo riguarda non solo i verbali degli interrogatori,o spezzoni dei verbali, subito diffusi,quando contenevano riferimenti ed accuse dirette e indirette contro di me. Riguarda persino le deposizioni testimoniali, la cui lettura è vietata anche al difensore della persona indagata, che, invece, in alcuni casi, sono state integralmente riferite alla stampa e da questa puntualmente pubblicate.E cosi' contro di me sono state deliberatamente alimentate nei mesi scorsi violente campagne denigratorie,di tale brutalità e di tale natura,da non avere precedenti almeno fino a quel momento,in tutta la storia della Nazione. Ho retto le maggiori responsabilità del Partito Socialista per sedici anni guidandolo in dieci campagne elettorali,ed egualmente per un lungo periodo ho partecipato e ne ho sorretto le responsabilità di governo. Delle attività della struttura nazionale del Partito ivi comprese quelle amministrative mi sono assunto tutte le responsabilità politiche e morali di fronte al Parlamento ed al Paese come era mio dovere di fare ma ho respinto e torno a respingere accuse che considero assolutamente infondate,pretestuose e strumentali ed una campagna di aggressione personale e politica che tutti hanno potuto vedere e valutare. Le accuse partono dal presupposto che il Segretario politico del PSI sia, non il "percettore materiale", indicati questi nell'amministratore,in suoi collaboratori o fiduciari, ma uno che, alla fine,leggo testualmente:"riceve". A tutte le attività che vengono descritte,iniziali e finali,e rispetto alle quali vengono elevate gravi imputazioni,il Segretario politico nazionale del Partito Socialista non ha invece mai partecipato in nessuna forma,in nessuna forma né diretta né indiretta è intervenuto e in tutti i casi citati,per favorire l'appalto di lavori, l'assegnazione di forniture, l'acquisto di immobili e quant'altro. Ad un certo punto venivano complessivamente elencati nelle accuse i nomi di quarantuno imprenditori e dirigenti di societa' private con i quali avrei concorso in azioni esecutive di disegni criminosi. Di questi quarantuno imprenditori e dirigenti di aziende, 38 io non li ho mai ne' visti ne' conosciuti, e con uno solo di loro ho intrattenuto nel tempo rapporti di amicizia. Vengono poi elencate 44 societa' di diversi settori produttivi in favore delle quali io sarei intervenuto in concorso di attuazione di disegni criminosi.
Non sono mai intervenuto, ed in tutti i casi citati,e in nessuna occasione,in favore di nessuna di queste 44 società ne' ho intrattenuto rapporti con alcuna di esse,i loro uffici,le loro strutture e per nessuna ragione, ne', per questo motivo, con i "pubblici ufficiali" citati anche se spesso non nominati. Rispetto alla mia posizione i pubblici ministeri non hanno ricostruito fatti,ma solo presupposto un teorema che hanno tentato di supportare con atti di indagine adempiuti nell'ambito complessivo dell'intera inchiesta. Ma, in tutto l'insieme, non e' stato neppure avvicinato il livello minimo della garanzia di fondatezza. La sostanza delle accuse che mi vengono rivolte si basa solo su congetture e falsi sillogismi. Soprattutto una serie di condotte e di miei comportamenti che il PM si è preoccupato di evidenziare non raggiungono in nessun modo il livello della rilevanza penale come attivita' di partecipazione e quindi non possono costituire il fondamento di una responsabilità per concorso,cio' che rappresenta l'aspetto essenziale dell'intera impostazione accusatoria. Dei reati per i quali e' stata formulata richiesta di autorizzazione a procedere,io dovrei rispondere non quale autore materiale,ma come concorrente alla stregua dell'art.110 c.p.. L'argomento merita approfondimento, perché, anche a volere tenere ferme le coordinate in fatto postulate dal teorema che viene disegnato, la fattispecie concorsuale non puo' dirsi realizzata in base a regole di buon senso, ancor prima che giuridiche. La responsabilità penale a titolo di concorso, infatti,è rigorosamente legata al principio della personalita' di cui al comma 1 dell'art.27 Cost..Dal lato del c.d. concorso morale,si ritiene principio univocamente acquisito che non possa essere mai la mera posizione occupata da un soggetto a determinarne il coinvolgimento:il presidente o l'amministratore delegato di una S.p.A., il capo di una amministrazione pubblica, e via dicendo, non possono rispondere penalmente del fatto degli altri organi o persone in cui si articola l'organizzazione,nemmeno in materia contravvenzionale o colposa, secondo l'insegnamento giurisdizionale comunemente ricevuto,quando siano individuabili gli estremi della delega di funzioni. La tesi dei pubblici ministeri, se fondata,dovrebbe di per se' sola infatti giustificare la sistematica chiamata in causa di tanti altri segretari politici dei Partiti, perche' secondo quella tesi, il Segretario politico di quel Partito, in ragione della sua carica, sapeva o doveva supporre che finanziamenti illegali o irregolari erano diventati una fonte consistente di sostegno economico dei Partiti. Quando si tratta di impostare problemi di responsabilita' penale,dunque a titolo di concorso morale, per fattispecie di concussione, corruzione, ricettazione od altro,rispetto alle quali l'impianto accusatorio individua in altri, con sicurezza,l'autore materiale o comunque l'attuatore della condotta tipica, è tecnicamente impossibile affermare che,stante la posizione di Segretario politico del Partito e percio' solo, come sostanzialmente dichiarato nella richiesta di autorizzazione a procedere,non possa che in maniera automatica espandersi le responsabilita' ai reati presupposti. La verità è che è tecnicamente impraticabile ogni fattispecie concorsuale a mio carico per il titolo morale immaginato dalla magistratura milanese. In punto di diritto giurisprudenza,dottrina e prassi giuridica depongono univocamente in questa direzione. Da essa gli organi giudiziari inquirenti si sono allontanati per dimostrare una volta di piu' il fumus persecutionis coltivato nei miei confronti, tenuto conto della mia posizione politica ed istituzionale.
Prima di compiere il tragico gesto di togliersi la vita Sergio Moroni, deputato socialista, ha dichiarato:"E' indubbio che stiamo vivendo mesi che segneranno un cambiamento radicale sul modo di essere del nostro Paese, della sua democrazia,delle istituzioni che ne sono l'espressione. Al centro sta la crisi dei Partiti (di tutti i Partiti) che devono modificare sostanza e natura del loro ruolo". "Eppure non è giusto che cio' avvenga attraverso un processo sommario e violento per cui la ruota della fortuna assegna a singoli il compito di vittime sacrificali. Né mi èestranea la convinzione che forze oscure coltivino disegni che nulla hanno a che fare con il rinnovamento e la "pulizia"". "Un grande velo di ipocrisia condivisa da tutti ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei Partiti e i loro sistemi di finanziamento. C'è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non potranno essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse regole". "Né mi pare giusto-continua Moroni-che una vicenda tanto importante e delicata si consumi quotidianamente sulla base di cronache giornalistiche e televisive,a cui è consentito distruggere immagine e dignità personale di uomini solo riportando dichiarazioni e affermazioni di altri. Mi rendo conto che esiste un diritto all'informazione ma esistono anche i diritti delle persone e delle loro famiglie". "A cio' si aggiunge la propensione allo sciacallaggio di soggetti politici che,ricercando un utile meschino,dimenticano di essere stati per molti versi protagonisti di un sistema rispetto al quale oggi si ergono a censori". "Non credo che questo nostro Paese costruira' il futuro che si merita coltivando un clima da "pogrom"nei confronti della classe politica,i cui limiti sono noti ma che pure ha fatto dell'Italia uno dei Paesi piu' liberi". Quando Sergio Moroni si uccise un magistrato inquirente sentenzio' con parole ignobili:"Si puo' morire anche di vergogna". Dopo aver letto alla Camera la sua lettera-testamento, il Presidente rivolse a tutti un invito alla riflessione. Ebbene penso che questa riflessione dovrebbe ricondurre direttamente ed essenzialmente al valore della giustizia che deve essere rigorosa ma anche e sempre serena, equilibrata, obiettiva, umana. Nel mio caso la Camera puo' concedere o negare l'autorizzazione a procedere dopo aver accertato se nei miei confronti è stata violata una norma, o sono state violate piu' norme che proteggono i miei diritti di parlamentare e i miei diritti di cittadino. Mi auguro che gli onorevoli deputati vorranno farlo, nel modo piu' franco e libero, con tutto il senso di giustizia di cui sono capaci."

sabato 9 gennaio 2010

Dickens, Beveridge, E. Rossi, il servizio sanitario nazionale e l'abolizione della miseria

“Perdonami se sono indiscreto, - disse Scrooge guardando fisso alla veste dello Spirito, - ma io vedo venir fuori dal lembo della tua veste non so che di strano che non t'appartiene. È un piede o un artiglio?

- Potrebbe essere un artiglio, per la poca carne che lo ricopre, - rispose malinconico lo Spirito. - Guarda. –

Dalle pieghe della sua veste trasse fuori due bambini striminziti, abietti, spaventevoli, ributtanti, miserabili. Caddero ginocchioni ai piedi di lui e si attaccarono saldi ai lembi della veste.

- Guarda, uomo! - esclamò lo Spirito. - Guarda, guarda qui, per terra! –

Erano un bambino e una bambina. Gialli, scarni, cenciosi, arcigni, selvaggi; ma prostrati anche nella umiltà loro. Dove la grazia della gioventù avrebbe dovuto fiorir rigogliosa sulle loro guance, una mano secca e grinzosa, come quella del tempo, li avea corrosi, torti, tagliuzzati. Dove gli angeli doveano sedere in trono, nascondevansi i demoni e balenavano minacciosi. Nessun mutamento, nessuna degradazione, nessun pervertimento del genere umano, in qualsivoglia grado, in tutti i misteri della meravigliosa creazione ha mai partorito mostri così orrendi.
Scrooge indietreggiò, atterrito. Tentò di dire allo Spirito, il quale glieli additava, che quelli erano due bei bambini; ma le parole gli fecero groppo, anzi che partecipare alla enorme menzogna.

- Spirito! Son figli tuoi? - potette appena domandare Scrooge.

- Sono figli dell'Uomo - rispose lo Spirito chinando gli occhi a guardarli. - E a me s'attaccano, accusando i padri loro. Questo bambino è l'Ignoranza. Questa bambina è la Miseria. Guardati da tutti e due, da tutta la loro discendenza, ma soprattutto guardati da questo bambino, perché sulla sua fronte io vedo scritto: "Dannazione", se la parola non è presto cancellata. Negalo! - gridò lo Spirito, protendendo le mani verso la città. - Diffama pure coloro che te lo dicono! Serba il male, carezzalo, pei tuoi fini perversi. Ma bada, bada alla fine!

- Non hanno un rifugio? - domandò Scrooge; - non c'è per loro un sollievo?

- E non ci son forse prigioni? - ribatté lo Spirito, ritorcendogli contro le sue proprie parole. - Non ci son forse case di lavoro?”
– (Tratto dal Canto di Natale di Charles Dickens)


Se è vero, come diceva Leonardo Sciascia, che “nulla di sé e del mondo sa la generalità degli uomini, se la letteratura non glielo apprende” allora occorre riprendere in mano i libri di Charles Dickens e magari quelli di Victor Hugo per capire come era la società dell’ottocento e per capire quali sono state le conquiste di civiltà ottenute fino ai nostri giorni.
Le situazioni di miseria e ignoranza in cui versava una buona parte della società e le ingiustizie che ne erano causa e poi conseguenza sono scandalo oggi come allora. Un ruolo importantissimo per migliorare le condizioni di vita di molti esseri umani è stato svolto da chi professava idee definite liberali. Tra questi possiamo citare l’inglese Lord Beveridge, economista, direttore della London School of Economics e poi parlamentare Liberale che stila, nel 1942, il famoso piano che porta il suo nome. Il piano Beveridge propone il servizio sanitario nazionale universale accessibile a tutti e pagato tramite la fiscalità generale. L’obiettivo era di garantire dei livelli minimi di assistenza a tutti i cittadini, senza interventi particolari e clientelari.
In Italia, nello stesso periodo, un altro economista liberale, confinato dal regime fascista nell’isola di Ventotene, Ernesto Rossi, elaborava parallelamente alcune idee per abolire la miseria. Tale studio sarà poi pubblicato negli anni ‘50 da Laterza, appunto, con il titolo “Abolire la miseria”.
La tesi centrale del libro resta sempre attuale: la miseria è una malattia infettiva, chi ne è colpito demoralizza tutti coloro con cui è in contatto, pertanto occorre attaccarla vigorosamente ed eliminarla per quanto possibile, tanto più che la miseria, secondo E. Rossi, non è l’esito necessario del sistema capitalistico. Tuttavia il mercato da solo non garantisce la sua eliminazione pertanto si rende necessario l’intervento dello Stato. Per Rossi, liberale, occorre fare in modo che tale intervento non si trasformi in assistenzialismo; occorre quindi che sia ridotta al minimo la burocrazia e che siano contrastati i comportamenti parassitari che porterebbero a far pagare a tutta la collettività i privilegi di qualcuno.
Un punto deve essere fermo: per poter eliminare la miseria e garantire sostegno ai cittadini nei momenti di particolare difficoltà, quali ad esempio la malattia, occorrono risorse finanziarie. Quindi bisogna preservare la capacità dei sistemi liberi di generare ricchezza, che sarà poi destinata a questi scopi. I sistemi che sono stati caratterizzati dalle libertà economiche e di mercato sono quelli che hanno saputo meglio far crescere la ricchezza e migliorare le condizioni di vita dei cittadini più svantaggiati.
Non bisogna mai stancarsi però di monitorare l’efficacia e l’efficienza dei servizi erogati o garantiti dallo Stato. Non bisognerebbe stancarsi di indagare sui costi e sui benefici dei servizi che costituiscono il “Welfare State” ed operare per avere, a parità di costo, servizi migliori. Infine, non bisogna avere la presunzione, per dirla alla Kant , di raddrizzare il legno storto di cui è fatto l’uomo, se non vogliamo correre il rischio di vivere in uno Stato etico ed illiberale. (di Claudio Ferretti)

mercoledì 6 gennaio 2010

IL CATTOLICESIMO LIBERALE

Esiste un Cattolicesimo Liberale?
Molti si pongono la domanda se le teorie e la prassi del liberalismo siano compatibili con espressioni di religiosità come l’adesione alla fede Cristiana Cattolica.
Il liberalismo, in realtà, può considerarsi neutro e aperto a tutti i contributi che possono venire dalle culture più disparate. Il liberalismo non è una religione, né una filosofia totalizzante. Il liberalismo può essere definito “una teoria e una prassi per il controllo e la riduzione del potere, che muove dalla constatazione che gli individui, pur avendo gli stessi diritti, sono naturalmente diversi perché dotati di una conoscenza limitata e fallibile. L’uguaglianza di fronte alla legge (Rule of law) può essere vista come un tentativo di superare la disuguaglianza naturale”. (Atlante del Liberalismo di Raimondo Cubeddu)
Tornando al Cattolicesimo Liberale, questa è una importante tradizione che ha cercato di conciliare liberalismo e cattolicesimo, tra i cui esponenti si possono ricordare Lord Acton, W. Ropke, Luigi Einaudi, Don Luigi Sturzo, V. Mathieu, M. Novak, D. Antiseri.
Basterebbe citare il nome di Luigi Einaudi - economista, politico, governatore della Banca d’Italia, Presidente della Repubblica Italiana, uno dei più importanti pensatori liberali italiani - per rendere palese che liberalismo e cattolicesimo possono essere complementari.
Vorrei però focalizzare l’attenzione su Don Sturzo che condusse la sua azione politica vestendo l’abito talare.
“(tratto da Wikipedia) Tutta l'attività politica di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegna per dare un'alternativa cattolica e sociale al movimento socialista.
Per Sturzo i cattolici si devono impegnare in politica, tuttavia tra politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia. La politica, essendo complessa, può essere mossa da princìpi cristiani, ma non si deve tornare alla vecchia rigidità e all'eccessivo schematismo del passato. Il Cristianesimo è, insomma, la principale fonte di ispirazione, ma non l'unica.
La società deve saper riconoscere le aspirazioni di ogni singolo individuo: “la base del fatto sociale è da ricercarsi nell'individuo” e l'individuo viene prima della società; la società è socialità: si fonda, cioè, su libere e coscienti attività relazionali.
Sturzo è contrario ad una società immobile ed il movimento è dato dalle relazioni interindividuali tra le persone; la società non deve essere un limite alla libertà dell'individuo. Non può essere, tuttavia, definito iperindividualista. All'interno di questo schema sociale multiforme la religione non può essere strumento di governo. Il cristianesimo ha dato qualcosa ad ogni corrente politica, quindi nessuno può dire di possedere il monopolio della verità religiosa.
L'individuo deve scegliere da sé se seguire la propria coscienza di buon cittadino o di credente; non è la Chiesa che deve indirizzarlo nell'atto della scelta, la quale attiene strettamente alla sfera individuale del singolo.
Il PPI nasce perciò come aconfessionale: la religione può influenzare, ma non imporre. In questo modo si palesa una concezione liberale del partito.
In economia Sturzo non è un
liberale classico, ma da un lato denuncia il capitalismo di Stato che ritiene dilapidatore di risorse, e dall'altro rimane convinto della possibilità di interventi dello Stato in economia, anche se per un tempo breve e finalizzato ad un risultato. Il suo faro è la centralità della persona, non delle masse; è un fautore dello stato minimo e censura già all'epoca l'eccessivo partitismo. Si dichiara, inoltre, ostile a una concezione statale panteistica.
In questo modo fonda il
Popolarismo, dottrina politica autonoma e originale, che non è altro che la messa in pratica della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, arricchita dal suo pensiero e lavorio, spesso profetica e -pur essendo prettamente pragmatica- profondamente intessuta eticamente.”
L'importanza di questo approccio di Don Sturzo è tanto più evidente oggi che è chiaro cosa può provocare un approccio diverso, quello teocratico. Un giorno, parlando molto intensamente con un mio amico, fervente ed impegnato cattolico, sostenevo che unire troppo la sfera religiosa e quella politica poteva portare a risultati negativi sia per la libertà che per la democrazia. Lui mi rispose che secondo il suo avviso le due sfere non potevano essere separate perchè la religiosità porta valori universali che non possono non permeare le leggi dello Stato. Gli dissi che il regime degli Ayatollah la pensava esattamente allo stesso modo, ma che l'IRAN non era per questo il paradiso in terra. Il mio amico ne fu molto colpito e iniziò a pensare come poter conciliare le due sfere... proprio come Sturzo. (di Claudio Ferretti)

sabato 2 gennaio 2010

LECTIO MAGISTRALIS “PREMIO ISAIAH BERLIN” di Piero Ostellino

C’è una costante che percorre tutto il pensiero di Isaiah Berlin. La ricerca delle radici del totalitarismo. Si sviluppa lungo tre direttrici. La prima riguarda la distorsione del concetto di libertà; dalla libertà liberale, libertà “negativa”, libertà “da” – come assenza di costrizione – alla libertà democratica, libertà “positiva”, libertà “di”, come auto-realizzazione. La seconda riguarda il contrasto fra l’Illuminismo razionalista francese e l’irrazionalismo contro-illuminista del Romanticismo tedesco - fra il primato della Ragione e quello della Volontà – entrambi forieri di totalitarismi. La terza direttrice riguarda la differenza fra “monismo” – la concezione che alle questioni etiche e politiche ci sia una risposta riconducibile a un solo sistema di valori - e “pluralismo di valori”, la concezione opposta che ci siano risposte plurime, ancorché conflittuali, ugualmente legittime.
Berlin è un empirista. Ciò che distingue il liberalismo dalle altre dottrine politiche è la metodologia della conoscenza. Quella liberale è empirica; quella delle altre dottrine è filosofica. La metodologia empirica della conoscenza si pone la domanda “come”: come stanno le cose. Quella filosofica si pone la domanda “perché”: perché delle cose. La risposta alla domanda “come” è verificabile nella realtà perchè è un giudizio di fatto. La risposta alla domanda “perché” non è verificabile nella realtà in quanto è un giudizio di valore. Un esempio di metodologia empirica della conoscenza è la frase di Adam Smith nella “Ricchezza delle nazioni” che non è dalla benevolenza del fornaio, del macellaio e del birraio che traiamo il nostro desinare, ma dal loro tornaconto. La proposizione è descrittiva: dice “come” sono gli uomini. Non prescrive nulla. La rappresentazione del comportamento dei tre è passibile di verifica se vera o falsa. Per constatare che è vera è sufficiente verificare che né il fornaio, né il macellaio, né il birraio regalano la propria produzione perché dalla vendita traggono giovamento come ne trae chi la acquista. Si perviene, così, alla definizione del mercato come quella forma di giustizia “commutativa” attraverso la quale ci si scambiano beni con vantaggio di entrambi i contraenti. Chiedere al mercato di realizzare la giustizia “retributiva” – di ubbidire a un principio etico: la giustizia sociale, l’eguaglianza e simili – e imporgli dall’esterno di farlo, è un non senso logico e una violenza politica.
E’ un nonsenso logico, perché ne snatura la vera funzione, che non è quella di produrre valori; è violenza politica, perché viola una delle libertà liberali, quella economica.
Il teorico della metodologia filosofica della conoscenza attribuisce, invece, il comportamento del fornaio, del macellaio e del birraio all’“egoismo” individualista e auspica un mondo eticamente fondato sull’”altruismo” universale. Il suo, però, è un “salto” logico - dall’essere al dover essere – inspiegabile se non col passaggio dall’individualismo liberale al totalitarismo collettivista: l’imposizione, in sede politica e in nome della “volontà
generale”, di comportamenti morali estranei al contesto economico nel quale si manifestano. Il cerchio qui si chiude con la trasformazione di una proposizione descrittiva (l’egoismo, come categoria dello spirito) in una prescrittiva (l’altruismo, come categoria normativa).
E’ qui che il liberalismo ha storicamente incrociato lo Scientismo come “metodo” di analisi delle Scienze naturali applicato alle Scienze sociali; ma se ne è anche discostato subito dopo. Quando l’Illuminismo ha coniugato lo Scientismo – che, per sua stessa natura, espone a costante verifica empirica le proprie affermazioni – col Razionalismo, con la pretesa della pura Ragione che i comportamenti umani ubbidiscano alle stesse leggi delle Scienze naturali, siano la conseguenza logica del “nesso causale” cui ubbidiscono la fisica e la meccanica, e, perciò, ugualmente prevedibili e sempre governabili. Il liberalismo ha compreso che sono le passioni che informano, e muovono, la Ragione, non viceversa; che i valori non si fondano né sulla Ragione, né sulla Scienza, ma sono scelte della coscienza individuale; che non può esserci una (sola) base razionale a tutte le convinzioni etiche e persino politiche né, tanto meno, una “razionalità collettiva”. Il liberalismo è, perciò, individualismo, spontaneismo; non indulge a astrazioni ideologiche collettive come “popolo”, “classe”, “razza” e simili. Le quali sono la giustificazione “etica” della negazione delle libertà individuali, in nome dell’affermazione di altre astrazioni ideologiche collettive, quali “l’utilità sociale”, “il progresso civile” e simili, politicamente mortificatrici, a loro volta, delle libertà soggettive.
Isaiah Berlin denuncia, a questo punto, le implicazioni politiche illiberali della libertà positiva che sacrifichi la realizzazione di sé associata alle passioni (la “falsa” identità dell’Individuo, o della collettività) a quella definita dalla Ragione (l’”autentica” identità dell’Individuo, o della collettività). Ma la libertà consiste nel fare ciò che si vuole, cioè anche nella possibilità di sbagliare, quale che sia l’interpretazione, autentica o falsa, della realizzazione di sé che se ne dia. C’è il rischio, inoltre, che qualcuno – l’autocrate, la classe sociale, la nazione e simili – pretenda di sapere quale è la realizzazione “autentica” di sé e la imponga coercitivamente.
E’, in senso lato, lo Stato etico. Ma è anche la logica che, nelle democrazie contemporanee, giustifica l’eccesso di spesa pubblica e la confisca – in nome dell’idea “autentica” di socialità – di ingenti risorse che i cittadini utilizzerebbero meglio, non solo per sé, anche nella produzione privata di beni e servizi collettivi oggi prodotti dallo Stato con grande spreco. La superiorità della libertà negativa, liberale, è che la libertà “da” è “la” libertà, indipendentemente da quale possa essere l’idea che ne hanno gli altri; sia che la associno all’agire moralmente, sia che la associno all’adeguarsi alla corrente della storia o quant’altro.
Un’altra implicazione, politicamente e socialmente negativa della libertà positiva – che Berlin non aveva previsto, ma che è sotto i nostri occhi - è la trasformazione, da parte della classe politica, di desideri personali in diritti universali, senza mediazione della Ragione. Le contro-indicazioni, qui, sono tre. La prima è l’impropria identificazione dei desideri con diritti, che provoca una anomala “inflazione” di questi ultimi. La seconda è la “bulimia democraticista” di chi rivendica un numero sempre maggiore di diritti, sovraccaricando la politica di domande e di aspettative, e riducendosi alla condizione di mendicità psicologica e di dipendenza politica dal potere cui si chiede di soddisfarli. La terza contro-indicazione – anche questa non teorizzata da Berlin, ma che sta diventando la “malattia senile” delle democrazie e le sta portando all’auto-distruzione per via fiscale - è che ad ogni diritto di qualcuno corrisponde un dovere di qualcun altro, che si concreta in una “violenza” esercitata dalla politica nei confronti di quest’ultimo. La fiscalità – come strumento di redistribuzione della ricchezza, non come contropartita di beni e servizi che lo Stato fornisce - è un forma di distorsione, di matrice moralistica e collettivistica, del rapporto fra l’Individuo e lo Stato.
Il “pluralismo di valori” – la compresenza, in una “società aperta”, di una pluralità di risposte, moralmente incommensurabili, fra loro conflittuali e politicamente non negoziabili, alle questioni etiche e politiche – assolve, infine, nel pensiero di Berlin, due funzioni. La prima è descrittiva della realtà “effettuale; che è sempre perfettibile, mai passibile di approdare alla perfezione. La seconda è esemplificativa del carattere realista, pluralista, umanista, gradualista, concretamente riformista del liberalismo.
La convinzione che la perfezione morale e politica sia realizzabile produce due conseguenze. A) nega validità al riformismo, cadendo, filosoficamente, nell’utopia e, politicamente, nel massimalismo; che finiscono col trasformarsi in conservatorismo, se non in reazione, in nome, e nell’attesa, di un obiettivo, via-via sempre più remoto, grandioso e mai empiricamente raggiungibile. E’ la parabola del bicchiere mezzo pieno – il riconoscimento (riformista, gradualista) che la globalizzazione ha sottratto dalla condizione di povertà milioni di cinesi, indiani, sudafricani, sudamericani – e del bicchiere mezzo vuoto, la condanna (massimalista, reazionaria) della globalizzazione perché non ha tolto
dalla povertà altri milioni di uomini. B) apre la strada al totalitarismo, nella convinzione che qualsiasi mezzo sia giustificabile per raggiungerla.