Pubblico il secondo intervento in risposta al Prof. Calafati , docente della Facoltà di Economia di Ancona, che aveva accolto delle mie considerazioni sul suo blog. Il Prof. Calafati pone una nuova questione: stiamo ancora alla contrapposizione tra individuo e Stato? - "e comunque - scriveva Calafati - noi di questa contrapposizione non ne possiamo più"
Gentile Prof. Calafati,
la ringrazio per l’opportunità che mi ha dato di chiarire gli obiettivi e i temi trattati all’incontro del Centro Studi Liberali Benedetto Croce sulla fiscalità .
Non posso che condividere quanto da lei affermato: oggi anche i Ministri fanno provocazioni quindi sarebbe meglio smettere. Tuttavia ritengo che chi non rappresenta le Istituzioni e non ha l’incarico di amministrare la res publica abbia quasi il dovere di porre certi temi all’attenzione della cittadinanza con l’obiettivo di far riflettere su questioni dove c’è spesso solo riflesso e quasi mai pensiero.
Visti gli interventi che sono seguiti al suo post e alla nostra iniziativa, credo che la nostra provocazione sia stata abbastanza inutile perché ci si è concentrati solo su di essa senza entrare nel merito della questione fiscale in Italia.
Torno quindi sul tema per cercare di spiegare perché ritengo che la questione fiscale sia centrale per una persona che vuole comportarsi come cittadino responsabile e non da suddito.
L’esclamazione dell’ex Ministro Padoa Schioppa: “Le tasse sono una cosa bellissima” e il titolo del libro di Facco “Se le tasse sono un furto non pagarle è legittima difesa” sono due sentenze estreme che non mi trovano d’accordo.
Circa la prima affermazione, che dire se un cassiere di panetteria esclamasse “Il prezzo del pane è una cosa bellissima”? Non so se a qualcuno è mai capitato di sentire una cosa del genere. A me non è capitato! Il prezzo del pane, più che bello, è necessario perché ci permette di avere un parametro per calcolare il valore del prodotto, di confrontare tale valore con quello di altre panetterie e con quello di beni succedanei o alternativi.
La seconda invece è un’espressione non così rara da sentire, ma provo a trasferire anche questa in panetteria: “Se il prezzo del pane è un furto, non pagarlo è legittima difesa”. Cosa significa? Prendo il pane e fuggo senza pagare nulla (quindi rubo)? Oppure, scelgo di non prendere il pane e lo vado a comprare da un panettiere che lo vende ad un prezzo da me ritenuto più onesto? In questo secondo caso credo che tutti ci potremmo ritrovare.
Tornando alla tassazione, la cosa si complica:
- con le tasse si pagano servizi che non sono misurabili in modo diretto
- poiché le tasse servono anche a ridistribuire ricchezza tra chi ha di più e chi ha di meno è normale che ci sia la percezione di ricevere meno di quanto si paga, salvo però mettere sul piatto della bilancia che la redistribuzione può essere utile a migliorare la convivenza.
- non pagare le tasse e dichiararlo è impossibile perché illegale. Come conseguenza ci sarebbe un prelievo coatto da parte dello Stato.
- non pagare le tasse e non usufruire anche in minima parte dei benefici dei servizi pubblici è impossibile (ad esempio per l’utilizzo delle strade e dei marciapiedi sei si abita in città)
- (ecc.ecc.)
Il rapporto tra il cittadino e lo Stato in tutte le sue forme è questione complessa, tuttavia credo che esistano gli elementi per sostenere che il nostro sistema fiscale sia iniquo perché:
a) esiste una pressione fiscale elevata su chi paga le tasse
b) c’è un certo lassismo nei confronti di chi non paga le tasse
c) l’impiego delle entrate fiscali è caratterizzato spesso da una certa inefficacia ed inefficienza dei servizi erogati.
Solo per fare alcuni esempi:
Sicurezza per i cittadini: Lo stato, si dice, dovrebbe garantire la sicurezza ma almeno un terzo del paese è in mano alla criminalità organizzata.
Certezza del Diritto e funzione Legislativa: Lo Stato dovrebbe garantire la certezza del diritto, l’Italia è il paese con più leggi e regolamenti tra i paesi occidentali, tanto che non si riescono neanche a contare. Queste producono continuamente nuove leggi e regolamenti per definire come e quando applicarli, rendendo di fatto l’incertezza del diritto una costante (c’è un interessante studio dell’Istituto Bruno Leoni che illustra l’iter folle del processo di semplificazione della nostra complessità normativa).
Amministrazione della Giustizia: Lo Stato, si dice, dovrebbe garantire la giustizia, invece abbiamo una giustizia civile con i tempi di giudizio più lunghi del mondo che di fatto rendono impossibile la tutela dei diritti (ma tutti parlano solo di quella penale che pure non gode di buona salute con la penalizzazione di quasi tutto, anche dei casi in cui comportamenti illeciti non vedono la presenza di vittima).
Amministrazione delle Carceri: Lo Stato dovrebbe garantire la sicurezza anche dei propri cittadini assicurati alla giustizia (spesso di classe) ma in Italia, facendo le debite proporzioni, abbiamo 4 volte il numero di morti violente in carcere rispetto agli USA.
Amministrazione della solidarietà pubblica: lo Stato, si dice, dovrebbe garantire chi si trova senza lavoro ed in difficoltà, ma come mai il sussidio viene dato solo a chi ha avuto un lavoro, magari nella grande industria e mai a chi non riesce neanche ad entrare nel mercato del lavoro? E perché l’impiego pubblico viene utilizzato come sussidio di disoccupazione ma solo per chi ha il privilegio di essere stato “prescelto”?
Gestione del pubblico impiego: Lo Stato dovrebbe garantire che per i pubblici impieghi si selezionino le persone più idonee e competenti a ricoprire quel ruolo eppure, spesso, i concorsi sono “truccati. Ma il dato più eclatante è che, anche quando le truffe vengono scoperte e accertate dagli organi competenti, avviene che colui che ha beneficiato di comportamenti illegittimi e scorretti rimane al proprio posto, alla faccia del merito altrui. E i partecipanti alle commissioni continuano a svolgere il loro importante ruolo in seno alla società.
Molti di questi esempi riguardano il vissuto quotidiano di tanti di noi. Esempi ben documentati nelle recenti pubblicazioni di Stella e Rizzo, di Ostellino e tanti altri testi divulgativi. Uno “stato della Nazione” si può evincere anche anche nelle annuali “Prediche inutili” della Corte dei Conti.
La cosa triste è che quando diversi anni fa studiavo nella vostra stessa facoltà di Economia ebbi l’opportunità di prendere a prestito dei vecchi libri degli anni 50 e 60 di Ernesto Rossi: Il Malgoverno, I nostri quattrini, Borse e Borsaioli, Settimo non rubare…. Libri che parlavano delle stesse cose e in sessanta anni il problema di fondo si è acutizzato, si è fatto patologico.
(e comunque noi di queste cose non ne possiamo più)
Io sono dell'avviso che non esiste l’individuo, per bene, e lo Stato, malfattore. Io penso che ci sia un problema di mancanza di senso civico da parte di molti cittadini italiani. Quanto allo Stato, quando ricercavo idee per la mia modesta tesi di Laurea, su una rivista di Economia che aveva il Prof. Sotte nel comitato scientifico, trovai una descrizione Stato data da Gaetano Salvemini che scriveva sull’Unità nel 1921: “lo Stato non esiste, esistono solo degli impiegati a cui non importa nulla di noi…”. Se messa insieme alla definizione di Bastiat: “lo Stato è quella finzione in cui tutti cercano di vivere alle spalle di tutti” , si potrebbe arrivare a dire che non c’è alcuna contrapposizione tra l’individuo e lo Stato. Anche questa affermazione non è del tutto vera. Esiste secondo me un problema di individui che non riescono a sentirsi cittadini, e uno Stato che è ostaggio di interessi corporativi e di parte. Uno Stato che non riesce a ricomporre tali interessi in una società libera e aperta che riconosca il merito e la responsabilità individuali come valori indispensabili per lo sviluppo e il benessere della società stessa. Questo sarebbe un ambito da approfondire per capire meglio l’ambiente in cui viviamo. Mi pongo molte domande: chi gestisce realmente le prerogative degli organi dello Stato in Italia? Quale è l’attuale ruolo della politica e dei partiti politici? Che tipo di democrazia è quella italiana? Quali sono gli interessi che sono rappresentati e quali interessi non lo sono? Quali sono i privilegi tutelati? Quanto costano questi privilegi al contribuente?
Non riusciamo a capire che l’insieme di tanti privilegi non fanno un diritto, ma alla fine qualcuno dovrà pagare, e tutti speculano sperando che sia sempre qualcun altro a ricevere il conto della spesa.
Possiamo pensare che le cose potranno andare avanti a lungo in questo modo? Anche se fosse possibile, sarebbe giusto? Quali sono le riforme che porterebbero a servizi pubblici più efficaci e meno costosi? Io potrei essere anche contento di pagare il livello di tassazione attuale (paragonabile a quello dei paesi scandinavi), ma vorrei allora che lo Stato esistesse e funzionasse, svolgendo bene almeno il ruolo a cui è preposto (la sicurezza, la giustizia nei tribunali, le grandi infrastrutture, il sostegno a chi si trova in difficoltà in malattia o nell’indigenza). Ma è davvero così?
mercoledì 30 dicembre 2009
venerdì 4 dicembre 2009
Introduzione alla Relazione di Piero Ostellino
Con la lettura del libro di Ostellino, Lo Stato Canaglia, sono tornato alla mia formazione e alle mie letture sin dai tempi dell’università, quando ho tolto molta polvere da diversi libri di Ernesto Rossi presenti nella biblioteca della nostra facoltà di Economia. Questi testi avevano dei titoli singolari: Il Malgoverno, Settimo Non Rubare, I nostri Quattrini, Borse e Borsaioli che mi hanno invogliato a leggere le Prediche Inutili di Einaudi ed altri ancora.
In effetti in Italia esiste un’ampia letteratura ed un filone culturale di analisi delle distorsioni di quello che chiamiamo Stato con tutte le sue ramificazioni e delle relazioni di questo con Economia, attraverso le corporazioni, e con la benedizione delle istituzioni religiose (che per dirla con Don Romolo Murri, non sono stato il blocco di formazione di una forte coscienza civile e di cittadinanza). Questo lavoro di analisi, denuncia e proposta, però, non ha prodotto quasi nulla di positivo, anzi, si è arrivati ad una progressiva degenerazione, nonostante che alcune posizioni siano state fatte proprio anche da accademici che hanno ricoperto o ricoprono ruoli di governo vedi i contributi forniti da “Lo Stato Padrone” di Martino e “Lo Stato Criminogeno” di Tremonti (che poi arrivato al potere si sta comportando come quel curato che predica bene e razzola male a dimostrazione che le categorie delle idee a nulla servono se non si è disposti a servirle con l’azione).
I principi molto pragmatici del liberalismo, quale che sia la voce che li propone, scivolano come l’acqua su questo paese impermeabile a tutto e si arriva ad una situazione fotografata molto bene con “la Casta” e “la Deriva” di Giannantonio Stella e Sergio Rizzo (Corrieristi anche loro come Ostellino).
C’è una questione culturale italiana che porta ad uno scarsissimo senso civico e si riverbera nella classe politica che è espressione del paese.
Qualcuno fa risalire le origini del declino culturale italiano, inteso come mancanza di senso civico, prima ancora che assenza dell’approccio liberale, alla controriforma. Altri vedono il problema storico nell’unità nazionale etero diretta e poco sentita, chi invece nel regime fascista e poi nel regime partitocratico e la cultura cattolica e comunista che ne è stato alla base. L’immediato dopoguerra è stato caratterizzato dalla sconfitta, di chi voleva una discontinuità, del Partito d’Azione, in prima linea, ma anche dei cattolici liberali come Don Luigi Sturzo e la possibilità iniziare un nuovo corso dove, in sistema paese libero, si potessero creare i presupposti per un più forte senso civico e di responsabilità individuale.
La nascita della Repubblica è stata caratterizzata da una continuità con il ventennio fascista, si è rinunciato a dare ai mercati regole liberali, e si è deciso di operare attraverso grandi enti pubblici, inoltre non è stata riformata la pubblica amministrazione. Questo ha creato il consolidarsi di vecchi grumi di interessi e di assistenzialismo e se ne sono creati di nuovi. In un modello, per dirla alla Bastiat, tutti vogliono vivere alle spalle di tutti.
Il motto araldico della nostra Repubblica, come diceva Ernesto Rossi dovrebbe essere “acca nisciuno è fesso”…. Anche qui mi torna in mente una storiella dello stesso Rossi: cinque operai arabi facchini presso un cantiere navale all’inizio del secolo scorso, che portavano una barra di acciaio sulle spalle, l’ultimo si abbassava un poco per far portare il peso agli altri. Ciascuno di loro faceva lo stesso, ma cosi facendo dopo pochi metri tutti erano carponi e faticavano molto di più che se fossero stati uniti del dividersi onestamente il lavoro.
Ecco questo è il comportamento di noi Italiani che porta poi ad avere uno Stato Canaglia. (di Claudio Ferretti)
In effetti in Italia esiste un’ampia letteratura ed un filone culturale di analisi delle distorsioni di quello che chiamiamo Stato con tutte le sue ramificazioni e delle relazioni di questo con Economia, attraverso le corporazioni, e con la benedizione delle istituzioni religiose (che per dirla con Don Romolo Murri, non sono stato il blocco di formazione di una forte coscienza civile e di cittadinanza). Questo lavoro di analisi, denuncia e proposta, però, non ha prodotto quasi nulla di positivo, anzi, si è arrivati ad una progressiva degenerazione, nonostante che alcune posizioni siano state fatte proprio anche da accademici che hanno ricoperto o ricoprono ruoli di governo vedi i contributi forniti da “Lo Stato Padrone” di Martino e “Lo Stato Criminogeno” di Tremonti (che poi arrivato al potere si sta comportando come quel curato che predica bene e razzola male a dimostrazione che le categorie delle idee a nulla servono se non si è disposti a servirle con l’azione).
I principi molto pragmatici del liberalismo, quale che sia la voce che li propone, scivolano come l’acqua su questo paese impermeabile a tutto e si arriva ad una situazione fotografata molto bene con “la Casta” e “la Deriva” di Giannantonio Stella e Sergio Rizzo (Corrieristi anche loro come Ostellino).
C’è una questione culturale italiana che porta ad uno scarsissimo senso civico e si riverbera nella classe politica che è espressione del paese.
Qualcuno fa risalire le origini del declino culturale italiano, inteso come mancanza di senso civico, prima ancora che assenza dell’approccio liberale, alla controriforma. Altri vedono il problema storico nell’unità nazionale etero diretta e poco sentita, chi invece nel regime fascista e poi nel regime partitocratico e la cultura cattolica e comunista che ne è stato alla base. L’immediato dopoguerra è stato caratterizzato dalla sconfitta, di chi voleva una discontinuità, del Partito d’Azione, in prima linea, ma anche dei cattolici liberali come Don Luigi Sturzo e la possibilità iniziare un nuovo corso dove, in sistema paese libero, si potessero creare i presupposti per un più forte senso civico e di responsabilità individuale.
La nascita della Repubblica è stata caratterizzata da una continuità con il ventennio fascista, si è rinunciato a dare ai mercati regole liberali, e si è deciso di operare attraverso grandi enti pubblici, inoltre non è stata riformata la pubblica amministrazione. Questo ha creato il consolidarsi di vecchi grumi di interessi e di assistenzialismo e se ne sono creati di nuovi. In un modello, per dirla alla Bastiat, tutti vogliono vivere alle spalle di tutti.
Il motto araldico della nostra Repubblica, come diceva Ernesto Rossi dovrebbe essere “acca nisciuno è fesso”…. Anche qui mi torna in mente una storiella dello stesso Rossi: cinque operai arabi facchini presso un cantiere navale all’inizio del secolo scorso, che portavano una barra di acciaio sulle spalle, l’ultimo si abbassava un poco per far portare il peso agli altri. Ciascuno di loro faceva lo stesso, ma cosi facendo dopo pochi metri tutti erano carponi e faticavano molto di più che se fossero stati uniti del dividersi onestamente il lavoro.
Ecco questo è il comportamento di noi Italiani che porta poi ad avere uno Stato Canaglia. (di Claudio Ferretti)
Da sinistra: Gianni Padalino, Piero Ostellino, Carlo Mancini, Claudio Ferretti
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