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lunedì 14 novembre 2011

EINAUDI: LIBERTA' ECONOMICA E COESIONE SOCIALE - GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE 2011 - dalle ore 17 alle ore 19,30

GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE 2011 - dalle ore 17 alle ore 19,30
Presso Facoltà di Economia (ex caserma Villarey) Ancona - Piazza Martelli
Il Centro Studi Liberali “Benedetto Croce”, nell'ambito della celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia presenta il Libro della collana storica della Banca d'Italia curato da Goffredo Gigliobianco, capo della Divisione storia economica del Servizio Studi della Banca d’Italia,  con prefazione di Mario Draghi dal titolo:
LUIGI EINAUDI : LIBERTA' ECONOMICA E COESIONE SOCIALE.
«Non tutti gli uomini – scriveva Luigi Einaudi nel 1942 – hanno l'anima del soldato o del capitano disposti ad ubbidire o a lottare ogni giorno quant'è lunga la vita. Molti, moltissimi, forse tutti in un certo momento della vita sentono il bisogno di riposo, di difesa, di rifugio. Vogliono avere un'oasi dove riposare, vogliono sentirsi per un momento difesi da una trincea contro l'assillo continuo della concorrenza, della emulazione, della gara.»
Fino a che punto la concorrenza possa governare la società senza strapparla e fino a che punto il welfare state la possa proteggere senza appiattirla sono interrogativi di Einaudi che oggi ritrovano un'acuta attualità, nel nostro disperato bisogno di trovare il modo di ricostruire il nostro paese tentando di conciliare giustizia sociale, uguaglianza dei punti di partenza, capacità di innovare non solo dell’economia, ma della società intera.
Con il suo pensiero e impegno civile, Luigi Einaudi cercò di indicare il giusto equilibrio tra opposte esigenze. Da una parte quella di lasciare ampio spazio all'innovazione, alla concorrenza, all'emergere del meglio e del nuovo, non solo nel campo della produzione, ma anche con riferimento alla società, al ricambio delle classi dirigenti, alla nascita di nuovi imprenditori. Dall'altra l'esigenza di offrire alle persone, non tutte disposte a stare sempre in prima linea, un riparo dal vento sferzante della concorrenza: l'associazione professionale, il sindacato, la piccola proprietà, il posto di lavoro.

Interverranno come Relatori:
Roberto Einaudi Presidente Fondazione "Luigi Einaudi" Roma
Alberto Baffigi Funzionario Div. Storia Economica e Finanziaria Banca d'Italia
Alberto Zazzaro Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’UNIPM

mercoledì 6 gennaio 2010

IL CATTOLICESIMO LIBERALE

Esiste un Cattolicesimo Liberale?
Molti si pongono la domanda se le teorie e la prassi del liberalismo siano compatibili con espressioni di religiosità come l’adesione alla fede Cristiana Cattolica.
Il liberalismo, in realtà, può considerarsi neutro e aperto a tutti i contributi che possono venire dalle culture più disparate. Il liberalismo non è una religione, né una filosofia totalizzante. Il liberalismo può essere definito “una teoria e una prassi per il controllo e la riduzione del potere, che muove dalla constatazione che gli individui, pur avendo gli stessi diritti, sono naturalmente diversi perché dotati di una conoscenza limitata e fallibile. L’uguaglianza di fronte alla legge (Rule of law) può essere vista come un tentativo di superare la disuguaglianza naturale”. (Atlante del Liberalismo di Raimondo Cubeddu)
Tornando al Cattolicesimo Liberale, questa è una importante tradizione che ha cercato di conciliare liberalismo e cattolicesimo, tra i cui esponenti si possono ricordare Lord Acton, W. Ropke, Luigi Einaudi, Don Luigi Sturzo, V. Mathieu, M. Novak, D. Antiseri.
Basterebbe citare il nome di Luigi Einaudi - economista, politico, governatore della Banca d’Italia, Presidente della Repubblica Italiana, uno dei più importanti pensatori liberali italiani - per rendere palese che liberalismo e cattolicesimo possono essere complementari.
Vorrei però focalizzare l’attenzione su Don Sturzo che condusse la sua azione politica vestendo l’abito talare.
“(tratto da Wikipedia) Tutta l'attività politica di Sturzo è fondata su una questione centrale: dare voce in politica ai cattolici. Sturzo si impegna per dare un'alternativa cattolica e sociale al movimento socialista.
Per Sturzo i cattolici si devono impegnare in politica, tuttavia tra politica e Chiesa deve esserci assoluta autonomia. La politica, essendo complessa, può essere mossa da princìpi cristiani, ma non si deve tornare alla vecchia rigidità e all'eccessivo schematismo del passato. Il Cristianesimo è, insomma, la principale fonte di ispirazione, ma non l'unica.
La società deve saper riconoscere le aspirazioni di ogni singolo individuo: “la base del fatto sociale è da ricercarsi nell'individuo” e l'individuo viene prima della società; la società è socialità: si fonda, cioè, su libere e coscienti attività relazionali.
Sturzo è contrario ad una società immobile ed il movimento è dato dalle relazioni interindividuali tra le persone; la società non deve essere un limite alla libertà dell'individuo. Non può essere, tuttavia, definito iperindividualista. All'interno di questo schema sociale multiforme la religione non può essere strumento di governo. Il cristianesimo ha dato qualcosa ad ogni corrente politica, quindi nessuno può dire di possedere il monopolio della verità religiosa.
L'individuo deve scegliere da sé se seguire la propria coscienza di buon cittadino o di credente; non è la Chiesa che deve indirizzarlo nell'atto della scelta, la quale attiene strettamente alla sfera individuale del singolo.
Il PPI nasce perciò come aconfessionale: la religione può influenzare, ma non imporre. In questo modo si palesa una concezione liberale del partito.
In economia Sturzo non è un
liberale classico, ma da un lato denuncia il capitalismo di Stato che ritiene dilapidatore di risorse, e dall'altro rimane convinto della possibilità di interventi dello Stato in economia, anche se per un tempo breve e finalizzato ad un risultato. Il suo faro è la centralità della persona, non delle masse; è un fautore dello stato minimo e censura già all'epoca l'eccessivo partitismo. Si dichiara, inoltre, ostile a una concezione statale panteistica.
In questo modo fonda il
Popolarismo, dottrina politica autonoma e originale, che non è altro che la messa in pratica della Dottrina Sociale della Chiesa Cattolica, arricchita dal suo pensiero e lavorio, spesso profetica e -pur essendo prettamente pragmatica- profondamente intessuta eticamente.”
L'importanza di questo approccio di Don Sturzo è tanto più evidente oggi che è chiaro cosa può provocare un approccio diverso, quello teocratico. Un giorno, parlando molto intensamente con un mio amico, fervente ed impegnato cattolico, sostenevo che unire troppo la sfera religiosa e quella politica poteva portare a risultati negativi sia per la libertà che per la democrazia. Lui mi rispose che secondo il suo avviso le due sfere non potevano essere separate perchè la religiosità porta valori universali che non possono non permeare le leggi dello Stato. Gli dissi che il regime degli Ayatollah la pensava esattamente allo stesso modo, ma che l'IRAN non era per questo il paradiso in terra. Il mio amico ne fu molto colpito e iniziò a pensare come poter conciliare le due sfere... proprio come Sturzo. (di Claudio Ferretti)

mercoledì 30 dicembre 2009

Evasioni Fiscali 2 - La Luna o il dito? (di Claudio Ferretti)

Pubblico il secondo intervento in risposta al Prof. Calafati , docente della Facoltà di Economia di Ancona, che aveva accolto delle mie considerazioni sul suo blog. Il Prof. Calafati pone una nuova questione: stiamo ancora alla contrapposizione tra individuo e Stato? - "e comunque - scriveva Calafati - noi di questa contrapposizione non ne possiamo più"

Gentile Prof. Calafati,
la ringrazio per l’opportunità che mi ha dato di chiarire gli obiettivi e i temi trattati all’incontro del Centro Studi Liberali Benedetto Croce sulla fiscalità .
Non posso che condividere quanto da lei affermato: oggi anche i Ministri fanno provocazioni quindi sarebbe meglio smettere. Tuttavia ritengo che chi non rappresenta le Istituzioni e non ha l’incarico di amministrare la res publica abbia quasi il dovere di porre certi temi all’attenzione della cittadinanza con l’obiettivo di far riflettere su questioni dove c’è spesso solo riflesso e quasi mai pensiero.
Visti gli interventi che sono seguiti al suo post e alla nostra iniziativa, credo che la nostra provocazione sia stata abbastanza inutile perché ci si è concentrati solo su di essa senza entrare nel merito della questione fiscale in Italia.
Torno quindi sul tema per cercare di spiegare perché ritengo che la questione fiscale sia centrale per una persona che vuole comportarsi come cittadino responsabile e non da suddito.
L’esclamazione dell’ex Ministro Padoa Schioppa: “Le tasse sono una cosa bellissima” e il titolo del libro di Facco “Se le tasse sono un furto non pagarle è legittima difesa” sono due sentenze estreme che non mi trovano d’accordo.
Circa la prima affermazione, che dire se un cassiere di panetteria esclamasse “Il prezzo del pane è una cosa bellissima”? Non so se a qualcuno è mai capitato di sentire una cosa del genere. A me non è capitato! Il prezzo del pane, più che bello, è necessario perché ci permette di avere un parametro per calcolare il valore del prodotto, di confrontare tale valore con quello di altre panetterie e con quello di beni succedanei o alternativi.
La seconda invece è un’espressione non così rara da sentire, ma provo a trasferire anche questa in panetteria: “Se il prezzo del pane è un furto, non pagarlo è legittima difesa”. Cosa significa? Prendo il pane e fuggo senza pagare nulla (quindi rubo)? Oppure, scelgo di non prendere il pane e lo vado a comprare da un panettiere che lo vende ad un prezzo da me ritenuto più onesto? In questo secondo caso credo che tutti ci potremmo ritrovare.
Tornando alla tassazione, la cosa si complica:
- con le tasse si pagano servizi che non sono misurabili in modo diretto
- poiché le tasse servono anche a ridistribuire ricchezza tra chi ha di più e chi ha di meno è normale che ci sia la percezione di ricevere meno di quanto si paga, salvo però mettere sul piatto della bilancia che la redistribuzione può essere utile a migliorare la convivenza.
- non pagare le tasse e dichiararlo è impossibile perché illegale. Come conseguenza ci sarebbe un prelievo coatto da parte dello Stato.
- non pagare le tasse e non usufruire anche in minima parte dei benefici dei servizi pubblici è impossibile (ad esempio per l’utilizzo delle strade e dei marciapiedi sei si abita in città)
- (ecc.ecc.)
Il rapporto tra il cittadino e lo Stato in tutte le sue forme è questione complessa, tuttavia credo che esistano gli elementi per sostenere che il nostro sistema fiscale sia iniquo perché:
a) esiste una pressione fiscale elevata su chi paga le tasse
b) c’è un certo lassismo nei confronti di chi non paga le tasse
c) l’impiego delle entrate fiscali è caratterizzato spesso da una certa inefficacia ed inefficienza dei servizi erogati.

Solo per fare alcuni esempi:
Sicurezza per i cittadini: Lo stato, si dice, dovrebbe garantire la sicurezza ma almeno un terzo del paese è in mano alla criminalità organizzata.
Certezza del Diritto e funzione Legislativa: Lo Stato dovrebbe garantire la certezza del diritto, l’Italia è il paese con più leggi e regolamenti tra i paesi occidentali, tanto che non si riescono neanche a contare. Queste producono continuamente nuove leggi e regolamenti per definire come e quando applicarli, rendendo di fatto l’incertezza del diritto una costante (c’è un interessante studio dell’Istituto Bruno Leoni che illustra l’iter folle del processo di semplificazione della nostra complessità normativa).
Amministrazione della Giustizia: Lo Stato, si dice, dovrebbe garantire la giustizia, invece abbiamo una giustizia civile con i tempi di giudizio più lunghi del mondo che di fatto rendono impossibile la tutela dei diritti (ma tutti parlano solo di quella penale che pure non gode di buona salute con la penalizzazione di quasi tutto, anche dei casi in cui comportamenti illeciti non vedono la presenza di vittima).
Amministrazione delle Carceri: Lo Stato dovrebbe garantire la sicurezza anche dei propri cittadini assicurati alla giustizia (spesso di classe) ma in Italia, facendo le debite proporzioni, abbiamo 4 volte il numero di morti violente in carcere rispetto agli USA.
Amministrazione della solidarietà pubblica: lo Stato, si dice, dovrebbe garantire chi si trova senza lavoro ed in difficoltà, ma come mai il sussidio viene dato solo a chi ha avuto un lavoro, magari nella grande industria e mai a chi non riesce neanche ad entrare nel mercato del lavoro? E perché l’impiego pubblico viene utilizzato come sussidio di disoccupazione ma solo per chi ha il privilegio di essere stato “prescelto”?
Gestione del pubblico impiego: Lo Stato dovrebbe garantire che per i pubblici impieghi si selezionino le persone più idonee e competenti a ricoprire quel ruolo eppure, spesso, i concorsi sono “truccati. Ma il dato più eclatante è che, anche quando le truffe vengono scoperte e accertate dagli organi competenti, avviene che colui che ha beneficiato di comportamenti illegittimi e scorretti rimane al proprio posto, alla faccia del merito altrui. E i partecipanti alle commissioni continuano a svolgere il loro importante ruolo in seno alla società.
Molti di questi esempi riguardano il vissuto quotidiano di tanti di noi. Esempi ben documentati nelle recenti pubblicazioni di Stella e Rizzo, di Ostellino e tanti altri testi divulgativi. Uno “stato della Nazione” si può evincere anche anche nelle annuali “Prediche inutili” della Corte dei Conti.

La cosa triste è che quando diversi anni fa studiavo nella vostra stessa facoltà di Economia ebbi l’opportunità di prendere a prestito dei vecchi libri degli anni 50 e 60 di Ernesto Rossi: Il Malgoverno, I nostri quattrini, Borse e Borsaioli, Settimo non rubare…. Libri che parlavano delle stesse cose e in sessanta anni il problema di fondo si è acutizzato, si è fatto patologico.

(e comunque noi di queste cose non ne possiamo più)

Io sono dell'avviso che non esiste l’individuo, per bene, e lo Stato, malfattore. Io penso che ci sia un problema di mancanza di senso civico da parte di molti cittadini italiani. Quanto allo Stato, quando ricercavo idee per la mia modesta tesi di Laurea, su una rivista di Economia che aveva il Prof. Sotte nel comitato scientifico, trovai una descrizione Stato data da Gaetano Salvemini che scriveva sull’Unità nel 1921: “lo Stato non esiste, esistono solo degli impiegati a cui non importa nulla di noi…”. Se messa insieme alla definizione di Bastiat: “lo Stato è quella finzione in cui tutti cercano di vivere alle spalle di tutti” , si potrebbe arrivare a dire che non c’è alcuna contrapposizione tra l’individuo e lo Stato. Anche questa affermazione non è del tutto vera. Esiste secondo me un problema di individui che non riescono a sentirsi cittadini, e uno Stato che è ostaggio di interessi corporativi e di parte. Uno Stato che non riesce a ricomporre tali interessi in una società libera e aperta che riconosca il merito e la responsabilità individuali come valori indispensabili per lo sviluppo e il benessere della società stessa. Questo sarebbe un ambito da approfondire per capire meglio l’ambiente in cui viviamo. Mi pongo molte domande: chi gestisce realmente le prerogative degli organi dello Stato in Italia? Quale è l’attuale ruolo della politica e dei partiti politici? Che tipo di democrazia è quella italiana? Quali sono gli interessi che sono rappresentati e quali interessi non lo sono? Quali sono i privilegi tutelati? Quanto costano questi privilegi al contribuente?
Non riusciamo a capire che l’insieme di tanti privilegi non fanno un diritto, ma alla fine qualcuno dovrà pagare, e tutti speculano sperando che sia sempre qualcun altro a ricevere il conto della spesa.
Possiamo pensare che le cose potranno andare avanti a lungo in questo modo? Anche se fosse possibile, sarebbe giusto? Quali sono le riforme che porterebbero a servizi pubblici più efficaci e meno costosi? Io potrei essere anche contento di pagare il livello di tassazione attuale (paragonabile a quello dei paesi scandinavi), ma vorrei allora che lo Stato esistesse e funzionasse, svolgendo bene almeno il ruolo a cui è preposto (la sicurezza, la giustizia nei tribunali, le grandi infrastrutture, il sostegno a chi si trova in difficoltà in malattia o nell’indigenza). Ma è davvero così?