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giovedì 25 marzo 2010

UN ESEMPIO RARO DI POLITICA LIBERALE

Colgo l'occasione per segnalare un articolo, apparso sul Foglio, a firma dell'ex Ministro Antonio Martino che dimostra quanto sia difficile governare seguendo principi liberali o semplicemente usando il buon senso. E' utile osservare che il Prof. Antonio Martino ebbe vita difficile, molto difficile, sia con l'opposizione di Centro Sinistra che con il suo governo di Centro Destra. Il finale è straordinario perchè chiarisce bene il perchè di alcuni atti di governo apparentemente insensati. E detto da chi è stato nella stanza del bottoni ha una valenza in più. Grazie Prof. Martino! Temo che le sia, e ci sia, costato molto, infatti non è più al Governo di questo paese.

"Di Antonio Martino
31 gennaio 2010
Meno male, ho perso l'aereo
Le rivelazioni di Antonio Martino sull'affare Airbus A400M
L'ex titolare della Difesa ricorda sul Foglio come e perché ci sfilammo dal consorzio europeo


Il 22 gennaio scorso le agenzie hanno dato notizia che si era concluso con un nulla di fatto l’incontro di due giorni tenuto a Berlino dai rappresentanti dei paesi clienti del programma A400M sul futuro del progetto. In particolare, il ministro della Difesa della Repubblica federale di Germania, Karl Theodor zu Guttenberg, aveva definito inaccettabile l’opzione di ricevere un minor numero di aerei A400M per il prezzo stabilito di 20 miliardi di euro. “Ottenere meno per gli stessi soldi per me è inaccettabile” era stato il lapidario commento di Guttenberg.
La vicenda aveva attirato l’interesse degli organi d’informazione nei giorni precedenti. Per esempio, il 6 gennaio in un lungo articolo significativamente intitolato “Airbus minaccia di bloccare l’A400M” il Sole 24 Ore dava conto delle difficoltà del programma e del suo incerto futuro. Per chi non lo sapesse, l’aereo in questione dovrebbe essere dedicato al trasporto militare e rappresentare un primo esempio d’iniziativa europea in materia d’industria della difesa. Il consorzio dell’aereo, istituito nel 1970 (sic) è composto da sette paesi – Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna, Belgio, Lussemburgo e Turchia – e ha recentemente incontrato difficoltà che hanno fatto aumentare i costi previsti di 5,3 miliardi di euro. Airbus sarebbe disposta ad accollarsi al massimo tre miliardi di questi costi aggiuntivi ma chiede che gli altri 2,3 miliardi siano sborsati dai paesi interessati; altrimenti, in mancanza di un accordo entro la fine del mese, cancellerà del tutto il progetto per dedicarsi esclusivamente all’aviazione civile.
Queste notizie mi hanno riportato alla mente le vicende che condussero l’Italia ad abbandonare il consorzio nel 2001. La storia, credo, merita di essere raccontata. Non appena insediato come ministro della Difesa, l’11 giugno 2001, mi fu sottoposta la questione dell’adesione dell’Italia al consorzio per l’aereo da trasporto militare della società francese Airbus, cui il governo di centrosinistra aveva dato la sua adesione in linea di principio, e che avrebbe dovuto essere formalizzata con la mia firma pochi giorni dopo.
Non essendo adeguatamente informato sulla vicenda, convocai i vertici militari perché mi facessero il punto della situazione. Venni così a sapere che il centrosinistra, prima di mostrarsi interessato all’A400M, aveva ordinato 22 aerei da trasporto militare C130J prodotti dall’americana Lockheed, che cominciavano proprio allora a esserci consegnati. Chiesi se fossero sufficienti alle esigenze di trasporto dell’Aeronautica militare. Mi fu risposto che il progetto dell’A400M serviva a far nascere un’industria europea della difesa e che la partecipazione dell’Italia avrebbe comportato vantaggi in termini di commesse per alcune industrie italiane del settore, che avrebbero prodotto qualche parte. Non essendo del tutto convinto, posi invano il quesito se l’aereo servisse all’Aeronautica italiana.
Per essere certo di non prendere una decisione sbagliata, sentii anche altre opinioni e scoprii che l’Aeronautica non solo non riteneva indispensabile per la sua linea di trasporto la partecipazione al consorzio dell’aereo francese, ma che per il trasporto dei mezzi e dei materiali le Forze armate italiane facevano ricorso al noleggio di un aereo di produzione russa, l’Antonov 70, che, a differenza dell’A400M, esisteva già, aveva un costo unitario molto minore, e aveva una portata quasi doppia rispetto a quella che avrebbe avuto l’aereo francese una volta realizzato.
Sapendo che il trasporto di mezzi e materiali militari per missioni all’estero costituiva un’esigenza abbastanza infrequente, l’idea di preferire il noleggio all’acquisto mi sembrava assolutamente sensata. Chi di noi acquisterebbe un’automobile sapendo che al massimo ne avrà bisogno due o tre volte l’anno? Molto più economico affittarla quando serve. Del resto, come detto, sempre per scelta del centrosinistra, l’Aeronautica militare era già stata largamente dotata di aerei da trasporto peraltro affidabilissimi. Mi convinsi, quindi, che l’adesione al progetto fosse inutile e contraria agli interessi nazionali e, adducendo come giustificazione il fatto che il governo, non avendo ancora ottenuto la fiducia del Parlamento, non era nella pienezza dei suoi poteri, non partecipai all’incontro internazionale.
Apriti cielo! Fui sommerso da critiche e contumelie, accusato d’essere anti-europeista e filo-americano, di avere preferito un aereo americano a uno europeo (dimenticando che l’acquisto dei C130J era stato deciso dal centrosinistra), di far perdere alle industrie italiane commesse lucrative e chi più ne ha più ne metta. Persino il normalmente cortese Letta (Enrico, ovviamente, non Gianni) stigmatizzò quella che chiamò “politica della sedia vuota” (che credo sia da preferire alla politica della testa vuota)!
Il mio problema divenne quello di far accettare questa mia scelta e scoprii immediatamente che la cosa non era per nulla facile. Dovetti anzitutto dare conto alle commissioni parlamentari congiunte Esteri e Difesa di Camera e Senato. In risposta a una domanda, dissi che “nell’occasione la Francia non si è limitata a elargire croci della Legion d’onore”. L’effetto di questa mia affermazione fu che l’indomani mi pervenne una lettera dell’ambasciatore francese che pretendeva scuse ufficiali. Chiesi al mio consigliere diplomatico di informare l’esimio rappresentante della sorella latina che mi ero limitato ad alludere alla notizia ampiamente riferita dalla stampa tedesca quella mattina secondo cui gli sforzi per ottenere l’adesione dei vari paesi al progetto avrebbero incluso anche incentivi pecuniari.
Tempo dopo, trovandomi alla riunione dei ministri della Difesa della Nato a Bruxelles, convinto che avrei dovuto informare i paesi interessati della decisione italiana, telefonai al presidente del Consiglio per sapere se ero autorizzato a farlo. Mi rispose che potevo procedere e così feci. In quell’occasione trovai impeccabile la risposta del collega francese, il socialista Alain Richard, che comprese perfettamente le mie motivazioni e incassò la decisione senza battere ciglio.
La mia soddisfazione per l’esito della vicenda, tuttavia, non durò a lungo. Tornato a Roma, in occasione di una riunione del Consiglio dei ministri, il nostro ministro degli Esteri, Renato Ruggiero, manifestò la sua convinta disapprovazione per la mia scelta. Per rabbonirlo il presidente del Consiglio sostenne che si era trattato di una mia iniziativa personale e che il governo non aveva ancora deciso. Per nulla soddisfatto, Ruggiero pretese che il Parlamento fosse informato di come stessero effettivamente le cose e fu così che Berlusconi, evidentemente dimentico di avermi autorizzato, mi chiese di andare in Aula alla Camera per dichiarare che si era trattato solo di un mio personalissimo parere. Renato Ruggiero e io avemmo nei primi mesi di vita del governo un rapporto ispirato a sincera simpatia e fruttuosa collaborazione. Renato diceva che eravamo “twin ministers”, ministri gemelli, e approfittando di questo simpatico rapporto, lo avevo prontamente informato di cosa pensassi dell’A400M, chiedendogli di aiutarmi a fare accettare la decisione ai partner europei. Con mio grande stupore, la documentazione che gli avevo trasmesso non lo convinse: era irrimediabilmente dell’idea che l’Italia dovesse aderire al consorzio del maledetto aeroplano. La nostra divergenza di vedute non ha cancellato la stima e l’amicizia che provo nei suoi confronti e che ritengo ricambiate.
Andai in Aula e non fu un’esperienza piacevole.
Ricordo vividamente lo scambio di battute con Marco Minniti, responsabile per la Difesa dei Ds, che era stato sottosegretario alla Difesa nel governo D’Alema. Dimentico del fatto che la decisione di acquistare i 22 C130J era stata presa dal governo di cui aveva fatto parte, insisteva nel caldeggiare la partecipazione al consorzio dell’aereo francese e lasciava trapelare la sua convinzione che la mia posizione fosse determinata anche da un pregiudiziale favore per gli Stati Uniti d’America e da una irragionevole antipatia per l’Europa. Ovviamente, entrambe le cose erano irrilevanti e fondate su ipotesi false.
Una delle differenze fra la tesi dei fautori dell’A400M e la mia era che per me un aereo militare merita di essere acquistato se e soltanto se serve alle esigenze dell’Aeronautica; i miei critici, invece, erano convinti che dovesse servire all’industria italiana e all’integrazione dell’Europa. Rispondendo a quei due requisiti, doveva essere comprato anche se non particolarmente necessario alla nostra forza aerea. Vanamente tentai di far comprendere che scavare buche nei campi da tennis per poi farle riempire “crea” lavoro sia per i “buchisti” sia per i “copribuchisti” ma che non per questo fa l’interesse dell’economia nazionale. Costruire parti di un aereo è conveniente per chi quelle parti produce, ma acquistare un mezzo militare che non serve alle Forze armate significa sprecare risorse che potrebbero essere impiegate altrimenti.
Noi non acquistiamo un prodotto per fare un piacere a chi lo vende, ma perché lo riteniamo utile e conveniente. Gli acquisti non si fanno perché convengono a questo o a quel produttore, ma perché l’acquirente è convinto dell’utilità del prodotto e della sua economicità. Fuor di metafora, è l’industria che dev’essere al servizio della Difesa, non il contrario. Non vi pare? Quanto all’integrazione europea, è vero che la Difesa è un tipico “bene pubblico europeo” – un obiettivo che può essere perseguito più efficacemente a livello europeo che non a livello nazionale – ma non si vede perché la produzione di un aereo per altri versi antieconomica dovrebbe giovare alla difesa dell’Europa. Né mi è chiaro perché mai una difesa europea implichi necessariamente la necessità di un’industria europea della difesa, autonoma rispetto a quelle di altri paesi. Se, per esempio, un aereo militare può essere acquistato da paesi non europei a condizioni più favorevoli di quanto non siano quelle di uno prodotto in Europa, optare per questa seconda ipotesi significa solo sprecare risorse.
L’esempio più clamoroso è offerto dalla vicenda dell’Eurofighter o Typhoon, un intercettore puro ideato all’inizio degli anni 80 per contrastare la superiorità del Mig 29 dell’Unione sovietica. Quest’ultima non esiste più e il suo eccellente intercettore è ormai divenuto pezzo da collezione, ma il consorzio europeo dell’Eurofighter esiste ancora e l’Italia, per decisione del governo D’Alema, si è impegnata ad acquistarne 122 esemplari! Ognuno di questi costa quasi dieci volte più di un F16 americano e non ne ha le capacità: l’F16 è anche un bombardiere che può fare uso di Pgm (“precision guided munitions”, le cosiddette bombe intelligenti), mentre l’aereo europeo è soltanto un intercettore, un caccia. Ha senso produrre in Europa a un costo di dieci volte superiore un aereo inferiore? A me non sembra.
Può darsi, tuttavia, che dal 2006 a oggi l’inferiorità dell’aereo europeo rispetto a quello americano sia stata eliminata e devo anche riconoscere che si tratta di una splendida macchina (l’ho anche pilotato!), ma dubito che gli artigiani del nord-est e i contribuenti considerino un buon affare pagare tasse per finanziare sprechi. Il vero europeista non è chi in nome dell’Europa sacrifica gli interessi del suo paese. L’europeismo autentico è, viceversa, basato sulla convinzione che un’Europa unita consenta di realizzare meglio l’interesse nazionale.
Tornando all’aereo francese, anche se confesso che mi asterrò dal pianto nel caso in cui non fosse prodotto, devo ammettere che provo sincera gratitudine nei suoi confronti. Grazie ad esso, credo di potere con tutta serenità affermare di essere stato il primo ministro della Difesa al mondo a rifiutare un mezzo militare che il suo governo gli offriva. In genere accade il contrario: il ministro chiede per le Forze armate qualcosa che, per una ragione qualsiasi, il governo si rifiuta di concedergli! Ma come riuscii a ottenere quell’esito? Dopo qualche tempo, la presidenza del Consiglio decise che si doveva mettere la parola fine a una vicenda durata anche troppo a lungo. Venne così convocata una riunione cui presero parte il presidente del Consiglio, il sottosegretario alla presidenza, il vicepresidente del Consiglio, il ministro degli Esteri e quelli dell’Economia, Attività produttive, Affari europei, e io. Giulio Tremonti disse che non era contrario all’A400M e, quando gli rinfacciai la stranezza di negare alla Difesa un miliardo di lire per la manutenzione dell’aeroporto di Pristina e poi dirsi disposti a sborsarne un gran numero per qualcosa che gli interessati reputavano non necessario, abbandonò la riunione.
Antonio Marzano si limitò a sostenere quanto era ovvio: se la Difesa dice che ne può fare a meno, non si vede perché si debba acquistare. Ruggiero dichiarò che non difendeva il progetto per ragioni militari né per europeismo ma per ragioni di politica industriale: partecipare era nell’interesse dell’industria italiana ed europea. Gianfranco Fini osservò che se perfino l’“imbelle” Lussemburgo partecipava, l’Italia non poteva restare fuori. Fu a questo punto che lasciai cadere l’osservazione che un ministro italiano aveva avuto l’onestà e lo scrupolo di informare la presidenza del Consiglio di avere ricevuto l’offerta di una percentuale sull’affare se avesse convinto il governo ad aderire. Fu come se avessi sganciato una bomba: Fini mi accusò di essere un irresponsabile, Ruggiero dichiarò con forza che non si sarebbe mai più occupato della questione e così via. La riunione si concluse con la vittoria della mia tesi.
Morale: le frodi e il malaffare connessi alle forniture militari risalgono alla notte dei tempi e il problema, temo, non ha una soluzione infallibile in tutti i casi. In questa, come in molte altre circostanze, non sarebbe male se gli interessati avessero a cuore la Difesa, che è la sola ragion d’essere dello stato, l’unico presidio alle nostre libertà e la nostra ragione di speranza nel futuro.
di Antonio Martino
© - FOGLIO QUOTIDIANO
31 gennaio 2010

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