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lunedì 21 novembre 2011

GOVERNO MONTI/ 1. Ostellino: Monti, ora fai il "tecnico" e taglia lo Stato

Il nostro socio onorario, nonchè nostro faro, almeno per come io lo intendo, ha colpito ancora.  Intervista a Piero Ostellino trascritta da Riccardo Rinaldi

giovedì 17 novembre 2011



Il governo Monti è nato. Dopo due giorni di consultazioni, ieri infatti è giunto l’atteso momento della presentazione dei ministri e del giuramento nelle mani del presidente della Repubblica. Per questa sera, invece, è previsto il voto di fiducia al Senato che anticipa il passaggio di domani alla Camera. «Dato che i politici – dice Piero Ostellino a IlSussidiario.net – fino ad ora hanno messo in scena quel famoso spettacolo nel quale la spalla dice al comico “vai avanti tu che a me vien da ridere”, mi permetto di dare solo un consiglio ai tecnici. Non usate più la parola “sacrifici” quando vi rivolgete agli italiani. Chi li deve fare non sono loro, ma lo Stato. Smantellate piuttosto questo apparato mostruoso che opprime i suoi cittadini e che ogni anno gli confisca oltre metà della ricchezza che producono». 

Ieri però il nuovo premier non ha risposto alle domande sulla patrimoniale, mentre la voce sulla reintroduzione dell’Ici si fa sempre più insistente.

Se Monti dovesse scegliere questa linea non farebbe altro che proseguire sulla strada tracciata dalla politica in tutti questi anni: aumentare le tasse per rincorrere una spesa pubblica fuori controllo. Da un tecnico però è lecito attendersi l’esatto opposto. Che si preoccupi cioè della vera natura del fallimento di questo Paese: uno Stato onnipresente e costoso. La politica avrà anche le sue possibilità, ma non possiamo pensare di salvare l’Italia con il taglio delle auto blu e del numero di parlamentari. Sono noccioline. Qui c’è da “dimezzare” lo Stato.

Un’impresa che sembra impossibile.

Certo, ma il nuovo premier, ripeto, dovrà fare il tecnico. Il suo compito è quello di pensare ai problemi concreti senza preoccuparsi del consenso, mettendo però il Parlamento davanti alle proprie responsabilità.
Se le forze politiche, infatti, dovessero per caso tentare di mettere i bastoni fra le ruote al presidente del Consiglio, lui non dovrebbe far altro che dimettersi, spiegando agli italiani di non voler essere complice degli sterili giochi della politica. Non esistono altre strade.

Da dove dovrebbe iniziare comunque questo “smantellamento”?
Per prima cosa bisognerebbe mettere fine all’imbroglio della “finta socialità”.

Cosa intende dire?

Le faccio un esempio: oggi i cittadini hanno a disposizione dei servizi scadenti, ma quando salgono su un autobus, pagando un prezzo irrisorio, sono quasi portati a pensare che lo Stato sia buono e generoso. In realtà il resto finisce nella fiscalità generale e questo ovviamente riguarda tutti, compresi quelli che l’autobus non lo usano mai.
Gliene faccio un altro: gli inglesi hanno aumentato i costi delle rette universitarie. Da noi, invece, in nome di quella finta socialità le rette sono così basse che coprono soltanto il 15% dei costi. E così quello che manca ricade sulla fiscalità generale. Sa qual è il risultato? Il manovale che non manda il figlio all’Università paga gli studi ai ricchi.

E la squadra di governo presentata ieri secondo lei ha le carte in regola per fare questa “rivoluzione”?

Sono certamente personalità di grande prestigio. E le dichiarazioni a favore della previdenza sociale contributiva del nuovo ministro del Welfare, Elsa Fornero, fanno ben sperare.

Di che si tratta?

Della soluzione più liberale. Ciascuno paga con i propri contributi la pensione che avrà, ma è libero di andarci quando vuole. Non quando decide uno Stato affamato di soldi. E’ questa, a mio avviso, la strada giusta.

Ad ogni modo, i mercati secondo lei crederanno nella svolta? 
Senza una drastica riduzione della spesa pubblica e della pressione fiscale no. Io, ad esempio, prenderei in considerazione l’ipotesi di non rinnovare i 200 miliardi di titoli di Stato italiani in scadenza. Il debito in questo modo scenderebbe da 2.000 a 1.800 miliardi e gli interessi così sarebbero minori. Per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici si potrebbe poi creare una società per azioni all’interno della quale inserire quella parte del demanio pubblico che può essere messa sul mercato.

Se poi la transizione dovesse andare a buon fine ci ritroveremmo un bipolarismo diverso, meno muscolare e più ragionevole?

Questo continuerà a dipendere dalla cultura politica del Paese. A giudicare dalle immagini delle dimissioni di Silvio Berlusconi sembra proprio che l’Italia sia ancora ferma alla guerra civile che scoppiò alla fine della Seconda guerra mondiale e che oggi sembra aver trovato il bipolarismo come metafora.
Ad ogni modo, fino a quando l’avversario politico resterà il nemico da abbattere, in Italia la democrazia liberale resterà incompiuta.
Ma chiedere anche questo a Mario Monti mi sembra francamente eccessivo…


© Riproduzione riservata.

 

lunedì 14 novembre 2011

EINAUDI: LIBERTA' ECONOMICA E COESIONE SOCIALE - GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE 2011 - dalle ore 17 alle ore 19,30

GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE 2011 - dalle ore 17 alle ore 19,30
Presso Facoltà di Economia (ex caserma Villarey) Ancona - Piazza Martelli
Il Centro Studi Liberali “Benedetto Croce”, nell'ambito della celebrazione del 150° anniversario dell'Unità d'Italia presenta il Libro della collana storica della Banca d'Italia curato da Goffredo Gigliobianco, capo della Divisione storia economica del Servizio Studi della Banca d’Italia,  con prefazione di Mario Draghi dal titolo:
LUIGI EINAUDI : LIBERTA' ECONOMICA E COESIONE SOCIALE.
«Non tutti gli uomini – scriveva Luigi Einaudi nel 1942 – hanno l'anima del soldato o del capitano disposti ad ubbidire o a lottare ogni giorno quant'è lunga la vita. Molti, moltissimi, forse tutti in un certo momento della vita sentono il bisogno di riposo, di difesa, di rifugio. Vogliono avere un'oasi dove riposare, vogliono sentirsi per un momento difesi da una trincea contro l'assillo continuo della concorrenza, della emulazione, della gara.»
Fino a che punto la concorrenza possa governare la società senza strapparla e fino a che punto il welfare state la possa proteggere senza appiattirla sono interrogativi di Einaudi che oggi ritrovano un'acuta attualità, nel nostro disperato bisogno di trovare il modo di ricostruire il nostro paese tentando di conciliare giustizia sociale, uguaglianza dei punti di partenza, capacità di innovare non solo dell’economia, ma della società intera.
Con il suo pensiero e impegno civile, Luigi Einaudi cercò di indicare il giusto equilibrio tra opposte esigenze. Da una parte quella di lasciare ampio spazio all'innovazione, alla concorrenza, all'emergere del meglio e del nuovo, non solo nel campo della produzione, ma anche con riferimento alla società, al ricambio delle classi dirigenti, alla nascita di nuovi imprenditori. Dall'altra l'esigenza di offrire alle persone, non tutte disposte a stare sempre in prima linea, un riparo dal vento sferzante della concorrenza: l'associazione professionale, il sindacato, la piccola proprietà, il posto di lavoro.

Interverranno come Relatori:
Roberto Einaudi Presidente Fondazione "Luigi Einaudi" Roma
Alberto Baffigi Funzionario Div. Storia Economica e Finanziaria Banca d'Italia
Alberto Zazzaro Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’UNIPM

giovedì 10 novembre 2011

L'EREDITA' DI BERLUSCONI - Commento all'articolo di Antonio Martino pubblicato sul TEMPO (di Claudio Ferretti)

Ho letto la sua analisi e la trovo difficilmente condivisibile, tanto che mi viene in sospetto di non averla capita.
a)      Se l’eredità che lascia Berlusconi è quella di dimostrare che l’Italia è di destra la cosa mi lascia abbastanza indifferente perché non capisco in cosa differisce questa destra da questa sinistra. Lei stesso ha detto sui temi fiscali, quelli centrali nella gestione dello Stato, la linea di questo governo non è dissimile da quella dei governi che l’hanno preceduto (più tasse, più spesa).
b)      Sulla rivoluzione liberale, dalle bellissime intenzioni del 1994 quando Berlusconi dichiarava di ispirarsi a Einaudi e Sturzo, nel ‘96  la stella polare divenne De Gasperi e via via sempre più verso posizioni filo stataliste e clericali.
c)      Tra i compagni di strada che il Cav. Berlusconi ha selezionato nel corso del suo percorso politico i liberali si sono lentamente ridotti, tanto più che è legittimo sospettare che le idee contassero ben poco, quello che importavano e importano sono i voti, quale che sia la provenienza, per acquisire il potere.
d)      Si poteva sperare che arrivato al potere tramite legittime elezioni, vista la grande capacità economica, mediatica e di aggregazione delle forze più eterogenee, il Cav. Berlusconi volesse portare l’Italia verso modelli vicini ai paesi più liberali e a primeggiare in Europa e nel mondo. Abbiamo invece visto la vicinanza a Gheddafi e Putin, è vero, anche a Blair e Bush ma solo per la guerra in Irak (più tasse e più spesa pubblica).
e)      Quando qualche proposta concreta poteva essere fatta propria provando ad investire sulla maturità dei cittadini italiani come per i referendum Radicali-Dornbush, la posizione di Berlusconi è stata secca e sprezzante, uguale a quella della CGIL.
f)        Lei sostiene che le sinistre sono un aggregato eterogeneo di posizioni incompatibili: è vero. Ma cosa accumuna Lei a Giovanardi. Cosa accomuna gli ex socialisti agli gli ex missini del PDL e tutti questi alla Lega Nord? Mi sembra che le precedenti esperienze governative di Berlusconi si siano risolte con gravi lotte di potere tra fazioni eterogenee: nel primo caso in un ribaltone della Lega, nel secondo con difficile convivenza con l’UDC di Casini, il terzo con il “tradimento” di Fini e l’arruolamento a suon di sottosegretari del “Di Pietrista” Scilipoti.
g)      Alla faccia della rivoluzione liberale, nel paese che ci lascia in eredità l’esperienza Berlusconiana, ammesso che sia finita, la spesa pubblica cresce, la corruzione sembra sempre più spinta e anche legalizzata in alcune sue forme, i privilegi crescono e i soliti noti pagano. E pagano sempre di più.
h)      In sintesi Berlusconi, se anche ha rappresentato una novità nella forma di fare politica, rappresenta nella sostanza la continuità, in tutti i suoi aspetti negativi, del sistema che l’ha preceduto e che, viste le premesse, con tutta probabilità gli succederà.
i)        C’è un’importante novità, si dice che la ricchezza già importante della famiglia Berlusconi dal ‘94 ad oggi sia sensibilmente aumentata mentre nelle classifiche su libertà economiche, libertà di informazione ecc.ecc. il paese sprofonda sempre più in basso. Sicuramente non c’è un nesso tra questi eventi ma la domanda che mi pongo è la seguente: Cosa ha messo in campo di suo Berlusconi per cambiare in meglio il paese e quanto gli è costato (a parte un divorzio ma per tutt’altre faccende)?
j)        Purtroppo mi sembra che quello che ci lascia in eredità ce l’avevamo già e da diversi secoli: il “particulare” di Guicciardini; la doppia morale praticata dalla Chiesa, e tutte quelle idee perniciose che hanno impedito all’Italia di essere come il New England. Forse, e questa è la cosa peggiore a mio avviso, ha messo definitivamente una pietra sopra alla possibilità di fare in Italia non tanto una rivoluzione liberale, figuriamoci, ma almeno una riforma liberale.

Con immutata stima.

martedì 20 settembre 2011

ATTIVARE LA CITTADINANZA II (di Claudio Ferretti)

Lettera aperta al Direttore del Corriere Adriatico

Caro Direttore,
Un articolo apparso sul Corriere Adriatico di questa settimana ha permesso ai cittadini di Ancona di conoscere una importante iniziativa portata avanti dai genitori dei bambini che frequentano la scuola elementare di Pietralacroce.
Questi genitori, preso atto dello stato di degrado della scuola che i loro figli frequentano quotidianamente e della difficoltà dell’amministrazione pubblica di garantire una adeguata manutenzione dei locali, considerando l’importanza della scuola come ambiente per la formazione dei loro figli, hanno deciso di farsi parte diligente. Hanno costituito un comitato, hanno raccolto fondi tra di loro con piccole quote (due terzi dei genitori hanno aderito), hanno ottenuto un piccolo contributo dall’amministrazione pubblica ma soprattutto le necessarie autorizzazioni, hanno raccolto contributi da sponsor privati ma soprattutto hanno donato il proprio tempo ed abilità per rendere una struttura pubblica più bella e funzionale.
In un periodo di crisi come quello attuale, che prima di essere una crisi economica è una crisi da mancanza di senso civico e di legalità che investe non solo il mondo politico ma la gran parte del paese compresa quella che alcuni chiamano la “società civile”, trovo che l’esempio dei genitori di Pietralacroce sia, nella sua semplicità, luce e speranza di rinascita culturale, politica ed economica della nostra città che potrebbe diventare esempio per l’Italia.
In 150 anni dall’unità d’Italia dobbiamo ancora risolvere un grave problema, quello che Banfield ha chiamato “Familismo amorale” che è una delle cause che impediscono al nostro paese di fare un salto di qualità.
Banfield, studioso dell’Università di Harvard, individuò tra le caratteristiche salienti del sottosviluppo proprio la mancanza di senso civico, quindi la scarsa attenzione dei cittadini alla qualità dei luoghi pubblici considerati come esterni ai propri interessi “familiari” e, semmai, da sfruttare a spese degli altri. Questo comportamento, facilmente imitabile, porta a una qualità della vita pubblica e sociale sempre più bassa, quindi a costi sempre più elevati, diventando una delle cause principali del sottosviluppo economico.
Ernesto Rossi, un grande italiano del secolo scorso, poco ascoltato e ormai dimenticato, raccontava la storia di una squadra di facchini dell’Ansaldo all’inizio del ‘900 i quali, mancando allora mezzi meccanici, portavano a spalla delle traversine di acciaio da un’area all’altra della fabbrica. L’ultimo della fila, pensando di essere più furbo degli altri, abbassava la spalla per fare in modo che gli altri portassero il suo fardello, ma così faceva anche quello davanti e quello davanti ancora, così che l’ultimo ritornava ad abbassare ulteriormente la spalla per non portare il peso e così ancora gli altri. Alla fine, a forza di abbassarsi, pensando tutti di essere furbi, stavano quasi in ginocchio faticando il triplo e andando più lenti. Questa storia potrebbe facilmente essere applicata all’Italia di oggi, senza grandi consolazioni, purtroppo.
Per cambiare la realtà che ci circonda bisogna cambiare noi stessi e non aspettare che altri, lo Stato, il Comune o, perché no, il Superenalotto risolvano i nostri problemi, i genitori di Pietralacroce con il loro esempio e con il sorriso sulle labbra, hanno dimostrato che è possibile e che si possono ottenere dei risultati straordinari.
Ma perché non andare avanti e fare in modo che da questo esempio si parta per creare un sistema virtuoso? Credo che si possa partire da cose molto semplici: costituiamo dei comitati di quartiere fondati su base volontaria, che abbiano l’onere e l’onore di mantenere e vigilare sui beni pubblici di loro competenza. Questi comitati potrebbero utilizzare manodopera volontaria, raccogliere fondi tra i cittadini, istituire dei premi di benemerenza per quelli particolarmente virtuosi.
Il Corriere Adriatico potrebbe svolgere un ruolo importante, istituendo un premio al comitato che ha lavorato meglio nell’anno e rendendo pubbliche tutte le iniziative dei comitati durante l’anno. Il Comune potrebbe prevedere degli incentivi fiscali per chi partecipa fattivamente a queste gestioni. L’amministrazione Comunale inizi a riflettere su queste cose. Inizino i nostri rappresentati a chiedere con umiltà la collaborazione dei propri cittadini e a premiare i meritevoli. Attiviamo la cittadinanza e iniziamo a pensare che Ancona può diventare un modello per l’Italia.

giovedì 16 dicembre 2010

Intervista a Piero Ostellino del 16.12.10


INTERVISTA A PIERO OSTELLINO

«Berlusconi vada in parlamento e spieghi perché dal 1994 a oggi non è riuscito a fare le riforme che aveva promesso, così come non ci sono riusciti i vari governi di centrosinistra. La crisi è molto più profonda di quanto possa apparire, le corporazioni bloccano il Paese e per affrontarla occorre trasformare radicalmente le istituzioni italiane». Ad affermarlo è Piero Ostellino, editorialista del Corriere della Sera, intervistato da IlSussidiario.net. Per il commentatore «l’Italia è in una situazione disastrosa e l’unica istituzione a dimostrarsi ancora dinamica è la Chiesa. Al contrario, gli scontri di piazza a Roma rivelano che la società italiana è ferma all’epoca fascista: o lo Stato ci garantisce il posto fisso, oppure spacchiamo tutto».


Ostellino, che cosa dovrebbe fare Berlusconi dopo il voto di fiducia di martedì?

Andare in parlamento e spiegare perché non è riuscito a realizzare prima le cose che aveva promesso: ridurre la spesa pubblica e la tassazione, riformare la giustizia, realizzare la rivoluzione liberale insomma.


Quindi la responsabilità di quanto è avvenuto sarebbe di Berlusconi?

Non sto dicendo questo. Nel 1994 lui è arrivato e ha promesso la rivoluzione liberale. Poi è tornato al governo altre due volte, e ogni volta ha riformulato lo stesso impegno. E allora perché non lo mantiene? Ma non è solo un problema del centrodestra. Chiunque sia al governo in Italia non riesce a governare, si tratta quindi di cambiare le istituzioni. Evidentemente se nessuno si pone il problema è perché questa situazione va bene a tutti. E questo vale per il centrosinistra come per Berlusconi, vale per chiunque vada al governo.


La soluzione potrebbe essere un allargamento della maggioranza?

Ammettiamo pure che Berlusconi allarghi la maggioranza all’Udc e recuperi una serie di parlamentari del Fli. Si ricostituisce il centrodestra originario, che finora non è riuscito a fare le riforme. E non si capisce perché dovrebbe riuscirci adesso.


Quali sono i nodi irrisolti della politica italiana?

Gli stessi di tutta l’Europa, Germania esclusa. E’ in crisi lo Stato moderno, lo Stato sociale non regge più. Ci dà troppo rispetto a quello che potrebbe permettersi e ci prende troppo rispetto a quello che gli spetta.


Secondo lei chi ha impedito a Berlusconi di fare le riforme? E’ stato Fini?

Il problema è più profondo. Il Paese è diviso. E chi lo governa non sono le istituzioni, ma le corporazioni che hanno i loro rappresentanti nell’esecutivo e nel parlamento. Andrebbe quindi cambiata la struttura del Paese. Se gli ordini professionali impediscono o rallentano l’accesso al lavoro dei giovani, la soluzione sarebbe molto semplice: si abolisce il valore legale del titolo e a quel punto anche gli ordini professionali non hanno più ragione d’essere. Questa era una riforma semplicissima, perché non è stata fatta?


Forse perché gli ordini professionali hanno impedito che la si facesse…

E allora, centrodestra e centrosinistra, che cosa ci vanno a fare al governo se poi non governano? Se gli esecutivi non hanno questa capacità di direzione, e sono guidati da un burattinaio che li manovra a suo piacimento, allora non siamo più una democrazia liberale.


E chi è questo burattinaio?

Oltre agli ordini professionali, c’è la magistratura, che ormai è una corporazione che pensa solo a se stessa. Eppure i vari governi che si sono succeduti non sono stati in grado di fare una riforma. Ma anche i sindacati e Confindustria. In questi giorni Marchionne ha rotto con Confindustria, affermando che d’ora in poi la Fiat i contratti se li farà da sé. Trovo che abbia pienamente ragione. Se i contratti fossero diversi tra Como e Lecce, dove il costo della vita è molto differente, gli imprenditori delocalizzerebbero in Puglia, e non in Slovenia.


E il burattinaio che manda i black bloc in piazza, chi è?

Chi ci sia dietro non lo so. Quello che ho visto martedì erano dei giovanotti che con le mazze cercavano di distruggere dei bancomat. O questi sono dei delinquenti, e come tali vanno messi in galera, o sono dei cretini e dei menomati psichici. Sono le uniche definizioni per chi crede di andare a fare la rivoluzione distruggendo tutto, e sarebbe ora che qualcuno finalmente lo dicesse. E tutto questo nasce da un grande equivoco.


Quale?

L’equivoco tra liberalismo e pluralismo. Chi governa non è più in grado di fare nulla, se non concordandolo con ogni singolo gruppo o corporazione che viene toccata da quello che il governo fa. Chi era in piazza martedì era contro la legge, e non soltanto perché spaccava tutto, ma per una ragione più profonda. La maggioranza parlamentare ha il diritto di fare delle scelte, come la riforma dell’università, negarlo è opporsi alla nostra Costituzione.


Chi le ricordavano i manifestanti violenti?

Dei giovani fascisti, che pretendono che lo Stato assicuri loro il posto fisso. Mi dispiace, il compito dello Stato non è questo. E la risposta non può essere quindi quella di prendere i bancomat a martellate. Quanto avvenuto martedì dimostra che questo è un Paese fascista e che è rimasto fascista. E questo condannerà l’Italia a diventare il Paraguay d’Europa: un piccolo Paese che non conta niente. E’ dal 1500 che ci stiamo avviando su questa china, era molto meglio quando c’erano i Comuni e le Signorie.


Quale può essere la situazione?

Una forma di governo simile alla quinta Repubblica introdotta in Francia da Charles De Gaulle.


In questo quadro desolante per le istituzioni italiane, come valuta il ruolo della Chiesa?

La Chiesa, pur essendo per ragioni storiche obiettive uno dei poteri più tradizionali, è l’istituzione che ha dimostrato il maggiore dinamismo. Sia quello di Giovanni Paolo II, sia quello di Benedetto XVI sono stati dei pontificati molto dinamici. Basti vedere come è stata ripensata la questione del rapporto tra fede e ragione, a partire dall’apporto di alcuni filosofi come Tommaso d’Aquino. O al modo coraggiosissimo con cui Ratzinger ha posto il problema dei pedofili nella Chiesa. Con un’energia che purtroppo né lo Stato né la politica hanno avuto.

POST inserito da Riccardo Rinaldi

venerdì 12 novembre 2010

IL MONDO DI MARIO PANNUNZIO - ANCONA 23 NOVEMBRE ORE 17,30 AULA DEL RETTORATO - PIAZZA ROMA 22

Il Centro Studi Liberali Benedetto Croce di Ancona, con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Ancona, onorerà la figura  dell’insigne giornalista liberale, Mario Pannunzio, fondatore e direttore del famoso settimanale politico Il Mondo con la presentazione del libro di Pier Franco Quaglieni, dal titolo “Mario Pannunzio: da Longanesi al Mondo”. che verrà presentato a Ancona martedì 23 novembre, alle ore 17,30, presso la sede del Rettorato dell’Università di Ancona in Piazza Roma n. 22.
Pier Franco Quaglieni è autore di molti saggi storici. Insieme ad Arrigo Olivetti e Mario Soldati è stato fondatore del Centro Pannunzio di Torino, di cui è attualmente direttore.
Nato a Lucca nel 1910 ed emigrato a Roma durante l’adolescenza, Mario Pannunzio dopo l'armistizio del '43, partecipò alla resistenza e insieme ad altri amici fondò il Partito Liberale. Nel ‘49 fondò Il Mondo, che s'impose come uno dei giornali più nuovi nel panorama italiano. Nel dicembre del 1955 fu tra i fondatori del Partito radicale, inizialmente denominato Partito Radicale dei Democratici e dei Liberali Italiani, insieme a Alberto Mondadori, Arrigo Olivetti, Marco Pannella, Eugenio Scalfari e Paolo Ungari
Il grande prestigio del “Mondo” spiega il numero e la qualità di collaboratori italiani e stranieri. Un giornale che ha fatto storia, che ha caratterizzato il dibattito politico e culturale con un grande senso della laicità, dando spazio ad opinioni politiche diverse, in un momento, il dopoguerra, che era caratterizzato da difficoltà di dialogo.
Il Mondo" è stato un settimanale di politica e cultura pubblicato a Roma negli anni 1949-66. Fondatore e direttore ne fu Mario Pannunzio che gli conferì una costante linea di impegno civile e di totale indipendenza rispetto al potere politico ed economico. Redattore capo fu Ennio Flaiano.
"Il Mondo" nacque dall'incontro della cultura crociana con quella salveminiana ed einaudiana ed ebbe tra i suoi collaboratori più importanti Ernesto Rossi, Carlo Antoni, Vittorio De Caprariis, Nicolò Carandini, Luigi Salvatorelli, Ugo La Malfa, Arturo Carlo Jemolo, Giovanni Spadolini, Aldo Garosci, Vittorio Gorresio.
L'obiettivo che il giornale cercò di realizzare fu quello di una terza forza liberale, democratica e laica, capace di inserirsi come alternativa ai due grandi blocchi, nati in Italia dalle elezioni del 1948, quello marxista e quello democristiano. L'impegno anticomunista de "Il Mondo" fu esemplare perché condotto in nome della libertà e non della difesa di privilegi economici precostituiti.
A partire dal 1955 Pannunzio organizzò i "Convegni del Mondo" come risposta laica all'arretratezza settaria dei marxisti e alla crisi del centrismo in Italia. Essi affrontarono temi come la lotta ai monopoli, i problemi della scuola, dell'energia elettrica e del nucleare, dei rapporti tra Stato e Chiesa, dell'economia e della borsa, dell'unificazione europea.
"Il Mondo" ebbe notevole importanza soprattutto sul piano culturale, in quanto fu la prima grande rivista di cultura stampata in rotocalco, rivolta quindi ad un pubblico notevolmente più ampio di quello tradizionale. Oltre a Croce, Salvemini ed Einaudi, collaborarono a "Il Mondo" scrittori come Mann ed Orwell, Moravia e Brancati, Soldati e Flaiano, Tobino e Comisso.
Sul versante non marxista e laico della cultura italiana "Il Mondo" rappresentò l'unica voce importante estranea agli schematismi politici e culturali allora predominanti. Il suo antifascismo fu sempre vivo e costante, la sua laicità mai astiosa, il suo fermo anticomunismo mai preconcetto. Fu accusato di essere élitario, espressione di un'aristocrazia intellettuale refrattaria alle grandi masse. E' tuttavia certo che "Il Mondo" esercitò un'influenza di gran lunga superiore alla sua tiratura.
Edito inizialmente da Gianni Mazzocchi, ebbe negli ultimi dieci anni di vita come editori l'industriale Arrigo Olivetti e l'ambasciatore Nicolò Carandini che parteciparono direttamente alla vicenda politica del giornale. Pannunzio non fu solo il direttore, ma il vero ispiratore del settimanale che curava con attenzione artigianale in tutti i suoi aspetti: leggeva ogni articolo, faceva i titoli e le didascalie, sceglieva le fotografie, impaginava personalmente. Soprattutto suggeriva i temi da trattare ai molti collaboratori, in quanto egli non firmò mai nessun articolo anticipando il ruolo del moderno direttore di giornale. Sotto il profilo grafico il giornale si presentava con una eleganza tutta longanesiana, ma c'erano anche un rigore ed uno stile che superavano il giornalismo di Longanesi, di cui pure Pannunzio aveva subito il fascino.

venerdì 27 agosto 2010

ATTIVARE I CITTADINI - Lettera al Direttore del Corriere Adriatico

Caro Direttore,


ho letto un interessante servizio apparso sul Corriere Adriatico di Lunedì nella Cronaca di Ancona che documentava quello stato di trascuratezza che da tempo appare evidente a quei cittadini che frequentano i parchi anconetani. Da qui prendo spunto per diverse considerazioni:

- Con l’apertura del Parco del Cardeto che si aggiunge al parco di Posatora, al recupero del parco della Cittadella e diverse altre aree verdi amministrate dal Comune di Ancona, la quantità di spazi da gestire è sicuramente aumentata di molto

- curare un parco è cosa che richiede un’attenzione quasi quotidiana ed è attività costosa.

- L’amministrazione comunale non dispone delle risorse sufficienti per gestire questi parchi garantendo uno standard qualitativo di eccellenza (non mi interessa in questa sede sapere se le risorse finanziare mancano perché gestite male o per oggettiva difficoltà)

- I Cittadini che frequentano i Parchi o semplicemente hanno dei vantaggi dalla loro presenza perché residenti nelle loro prossimità non sono coinvolti in alcun modo nel mantenimento del decoro, anzi, possono essere gli attori del loro decadimento utilizzandoli a volte come pattumiere o come aree di servizio per i bisogni dei loro animali domestici.

Il risultato di questo combinato disposto è che tali aree rischiano di diventare la cartina di tornasole di una città (istituzioni e cittadinanza) incapace di affrontare adeguatamente le sfide che il presente e il futuro ci stanno mettendo di fronte. Una città che, nonostante i nuovi parchi, risulta essere la terza città più inquinata d’Italia e quindi d’Europa.

Uno studioso dell’Università di Harvard, Banfield, ha definito la mancanza di senso civico come il problema di fondo di alcune aree sottosviluppate dell’Italia. Una delle caratteristiche salienti del sottosviluppo è proprio la mancanza di senso civico, quindi la scarsa attenzione dei cittadini alla qualità dei luoghi pubblici considerati come esterni ai propri interessi “familiari” e quindi, semmai, da sfruttare a spese degli altri. Questo comportamento, facilmente imitabile, porta a una qualità della vita pubblica e sociale sempre più bassa, quindi a costi sempre più elevati, diventando una delle cause principali del sottosviluppo economico.

Per cambiare la realtà che ci circonda bisogna cambiare noi stessi e non aspettare che altri, lo Stato, il Comune o, perché no, il Superenalotto risolvano i nostri problemi.

Credo che si possa partire da cose molto semplici: costituiamo dei comitati di quartiere fondati su base volontaria, che abbiano l’onere e l’onore di mantenere e vigilare sui beni pubblici, a partire dai parchi della città di loro competenza. Questi comitati potrebbero utilizzare manodopera volontaria, raccogliere fondi tra i cittadini, istituire dei premi di benemerenza per quelli particolarmente virtuosi. Il Comune potrebbe istituire un premio al comitato che ha lavorato meglio nell’anno e magari prevedere degli incentivi fiscali per chi partecipa fattivamente a queste gestioni. L’amministrazione Comunale e il Sindaco Gramillano riflettano su queste cose, inizino a chiedere con umiltà la collaborazione dei propri cittadini e a premiare i meritevoli. Attiviamo la cittadinanza e iniziamo a pensare che Ancona può diventare un modello per l’Italia.

Cordiali Saluti
Claudio Ferretti